La Stampa, 4 aprile 2024
Intervista a Marisa Borini Bruni Tedeschi
«Certo che nella mia famiglia si litiga. Alziamo la voce. Ma son discussioni, non rotture». Novantaquattro primavere appena compiute e portate con gioia, indole impavida e per nulla convenzionale, Marisa Borini Bruni Tedeschi risponde dalla sua villeggiatura al mare con voce da ragazza e umore eccellente.
Sul giornale di oggi (ieri per chi legge) abbiamo intervistato le sue figlie, Carla e Valeria Bruni Tedeschi. Mancava solo lei, che ne dice di parlare di affari di famiglia?
«Con piacere».
Che ricordo le è rimasto della sua maternità?
«Ho avuto il mio primo figlio, Virginio, non da giovanissima, soprattutto per l’epoca. Avevo trent’anni, quattro anni dopo è arrivata Valeria e altri tre Carla. Le ho vissute con facilità e felicità. Sono stata una brava balia, li ho allattati tutti e tre».
Nella sua intervista a Francesca Fagnani sua figlia Carla dice che «non ha avuto dei buoni genitori, molto affettuosi ma praticamente invisibili». Lei che madre è stata?
«I miei figli, tutti e tre, sono stati educati alla libertà e con libertà. Con il padre, che alla loro nascita era anziano, non gli abbiamo impedito nulla. Il mio primogenito Virginio, che purtroppo si è ammalato e ci ha lasciato, era un avventuroso. Viaggiava per mare, gli piaceva navigare. Non pensai mai di fermarlo. A 18 anni Carla decise di andare a New York per fare la modella. Ero preoccupata, ma mio marito mi disse: “Carla è una ragazza che non farà mai delle stupidaggini"».
Orgoglio di mamma?
«Carla è stata una modella, una cantante, una first lady. Mio marito aveva ragione, di stupidaggini non ne ha mai fatte. Valeria è un’attrice e una regista di straordinario talento, in queste settimane sta lavorando a un film su Eleonora Duse con Pietro Marcello, ha girato a Venezia e Roma. Ha una grandissima passione e altrettanto successo. Ho due figlie splendide e quattro nipoti che adoro. Sono orgogliosa, molto».
Le piace fare la nonna?
«Mi sono molto occupata del primogenito di Carla, Aurelién. Quando è a Parigi viene spesso a pranzo da me. La bimba, Giulia, la vedo meno, ma mi piace accompagnarla al maneggio. Oumy, figlia di Valeria, è stupenda. La vedo meno, fa quattro ore di danza al giorno ed è molto occupata. Noè, il mio quarto nipote, è la mia passione. Dotato per tutto, gioca a tennis e studia il pianoforte. Come me».
Lei è una donna felice?
«Nella mia lunga vita non tutto è andato sempre bene. Ma studio ancora il pianoforte e sono in buona salute. Se ho voglia di lamentarmi, certo anche io ho le magagne dell’età. Senza disgrazie né malattie, sono felice».
Siamo preoccupati sempre, per tutto. Lei che ha tanto vissuto ci dica, cosa veramente importa?
«L’amore, solo l’amore. Noi siamo italiani, per noi la famiglia ha un significato particolare. Ho vissuto per mio marito, i miei figli e mia sorella, che ho perduto sei mesi fa. Stare con loro, occuparsene, prendersi cura. Quello importa».
Faccio l’avvocato del diavolo. E le assenze?
«Loro erano indipendenti, liberi. Come sono liberi e indipendenti i miei nipotini. Parlano tutti inglese, posso andarsene a studiare dall’altra parte del mondo già nell’adolescenza. La mia è passata a Torino, con la mia mamma, adorata, ma non mi ero mai mossa. Da una generazione all’altra, è cambiato il mondo».
Carla e Valeria vanno d’accordo o bisticciano?
«Fanno delle grandi litigate, tutti in famiglia facciamo delle grandi litigate. L’altro giorno Carla mi ha detto “sei stata bugiarda tutta la vita”. Le ho risposto “perdonami, ma nella vita ho fatto anche altro”. Fa ridere, no? Dopo due ore, siamo di nuovo lì, a cercarci, a fare la pace. Capita nelle famiglie».
Le mamme degli altri sembrano sempre meglio della nostra. È giusto?
«Essere un po’ critici in famiglia va bene. Valeria la chiamo il caporale, perché vuole dare sempre ordini a tutti. E parla a voce alta, anche quando lo fa con benevolenza».
Nel 2017 scrisse il libro “Mes chères filles, je vais vous raconter..."», Care figlie, vi scrivo. Ne arriverà un altro?
«Ho un’idea, ma ancora vaga. Avrei bisogno di tempo per lavorarci, dovrei starmene un pochino più tranquilla. Ma per quello c’è sempre tempo». —