la Repubblica, 3 aprile 2024
Intervista a Stefano Massini
È un’impresa fuori dall’ordinario sintetizzare tutto il pensiero giornalistico espresso da Eugenio Scalfari nei suoi editoriali e nei suoi scritti su Repubblica, il quotidiano da lui fondato, e farne un vibrante racconto teatrale. Di questo emozionante viaggio, concepito come riflessione per il centenario della nascita del nostro fondatore, è autore, “lettore” e interprete per la scena Stefano Massini.
Il drammaturgo e scrittore ha concepito e darà voce – alle 19 di sabato 6 aprile nella Sala Sinopoli dell’Auditorium di Roma – all’evento L’Italia secondo Eugenio.
Cronache di fine millennio. La scrittura di Scalfari continua a parlarci, infatti.
Massini ne ha meritoria facoltà, come drammaturgo (già premiato con l’Oscar americano del teatro, per la sua Lehman trilogy) amato anche dai giovani, come acuto narratore delle ingiustizie sociali, o delle vittime del lavoro. Nonché come conoscitore dei linguaggi, specialista dei lemmi. Che, nel caso di Scalfari, si è calato in un immenso materiale: «Scritto da un uomo di cultura impegnato nella società, nella politica, nell’economia, nel sapere, nel costume, nella filosofia della vita».
Alla voce di Massini, si affianca in scena l’opera di performer, le scelte sonore e il sound design di Saverio Zacchei, che comprende tra l’altro L’Italia siamo noi di Francesco De Gregori, e Un sabato italiano di Sergio Caputo.
Stefano Massini, che raid di avvicinamento ha preceduto il suo “L’Italia secondo Eugenio”?
«L’unica forma era una full immersion in un mondo. Se ne percepiscono gli echi d’ogni singolo pezzo, le piccole ossessioni. Quante idee e intuizioni ritornano? Quale rete di ricorrenze c’è?
Scalfari era anche uno scrittore, e quali erano le sue ossessioni? DuranteTangentopoli, lui dice che è sempre stato considerato un moralista, e replica che se ne vanta, che proverà a tenersi stretta questa qualifica, in un Paese che ha perso per strada la morale. Esiste una scienza del comportamento, una scienza del linguaggio e Scalfari percepisce che può rompere la quarta parete, rivolgendosi al lettore: cercando di allearlo, di arruolarlo a un “noi”, con un modo abile e raffinato di cambiare i registri. Ironico o sarcastico, quasi confessionale o da autoanalisi. È straziante, ad esempio, quando scrive che si sdraia a terra perché le Brigate Rosse gli impongono di pubblicare un manifesto: fa paura, in un editoriale».
Quanti commenti, quanti articoli di Scalfari ha scelto di leggere, e per quante ore?
«Tante ore, non le ho contate. Oltre mille pezzi. Ci sono due livelli di lavoro, però.
Prima bisogna montare le parole, e poi c’è un ulteriore intervento meno drammaturgico: trovare il modo di rendere tutto quel materiale in una forma teatrale diretta».
Attraversando lo Scalfari autore, amante della cultura, della lettura, delle eccellenze socratiche, sarà incappato di certo in articoli con citazioni poetiche.
«Non solo poetiche. Ho sempre amato coloro che riescono a declinare la cultura nel significato più ampio, letterario, sonoro. Scalfari si rivela sensibilissimo a tutti i linguaggi, cita canzoni di Wanda Osiris, nomina Arbore, Belli, Trilussa, ricorda tanti romanzi, il teatro dei pupi, le opere liriche. È un rabdomante che sale sulle spalle dei fratelli maggiori. Ha semmai il rammarico che le parole siano troppe e inflazionate, e fa l’esempio delle tante parole appese senza più senso nelGargantua e Pantagruel».
Nella figura di Scalfari e nella sua produzione giornalistica e letteraria ha per caso sentito anche la sua innegabile cifra teatrale?
«Era un uomo teatrale, certamente. Mel’hanno confermato le figlie, Donata ed Enrica. E Ezio Mauro mi ha rivelato che Scalfari nel passargli il testimone gli raccomandò: “Per fare il direttore bisogna essere molto attori”. Sapeva essere protagonista, affabulatore, agiva avendo sempre la consapevolezza dell’insieme del giornale. E apprezzava la commistione dei generi. Un mescolamento di attitudini dovrà pur esserci tra lui e me, che ho mezzo secolo in meno. Con una linea retta che congiunge i due punti: il teatro».
Lei, così esperto in labirinti e miniere della memoria, ha riconosciuto il bisogno di Scalfari di coltivare e custodire questa virtù?
«Ho sempre seguito un insegnamento: la memoria è il convitato di pietra di ogni grande testo, contribuisce alla memoria collettiva. Le racconto un piccolo aneddoto. Quando vinsi il Tony Award, un signore di Portorico mi fermò: “Potrei dirle che per me lo spettacolo era bello, non so se è bello in realtà, ma certo lo ricorderò”. Ecco, forse c’è bellezza in ogni forma di conservazione, e c’è un trauma anche nella bellezza».
Con “L’Italia secondo Eugenio” lei ha fatto quindi viaggi inattesi nei giacimenti della storia italiana, da Moro a Berlusconi: Scalfari sarà per gli spettatori un prezioso Virgilio ?
«Noi tutti abbiamo bisogno di un Virgilio, per ripercorrere a dovere la storia di un Paese come il nostro, che ci aiuti a discernere: luci e ombre, cosa davvero è successo, cosa sia degno di essere raccontato».
Quante volte Scalfari, in questo vostro incontro, l’ha stupita e divertita?
«Tantissime, mi ha spesso sorpreso.
Scalfari ha l’istinto e i tempi del colpo di scena. E si diverte nel dichiararlo: “Vi prego di non giudicarmi”. Costruisce ilcoup de théâtre sulla pagina scritta. Io sono solo un riflettore tra il suo pensiero, l’eredità dei suoi scritti, e lo spettatore».