la Repubblica, 3 aprile 2024
Intervista a Diego De Silva
Diego De Silva, celebriamo il compleanno tondo con una bella intervista?
«Porca di quella miseria, me l’avevano detto che dopo i 50 gli anni vanno come il tergicristallo...». Diego De Silva, scrittore, premio selezione Campiello per Certi Bambini, è conosciuto per i suoi libri, ma anche perché le sue storie sono state spesso raccontate anche al cinema e in televisione con successo. Oltre al film tratto dal suo romanzo d’esordio, che lo portò al successo quando era trentenne, sono poi arrivati i libri diVincenzo Malinconico, avvocato d’insuccesso,
trasmesso in televisione nella serie interpretata da Massimiliano Gallo. Lo scrittore napoletano ha da poco compiuto 60 anni.
Chi è Diego De Silva oggi?
«Mi sento fortunato: faccio il mestiere che volevo e che so fare, in cui non è facile affermarsi. Per farlo ho cambiato lavoro, prima facevo l’avvocato».
Da ragazzo, che tipo era?
«Sono stato sempre malinconico.
Ho una sorta di indulgenza, di compiacimento anche un po’ stupido nella tristezza. Vedo il mondo come un luogo poco felice, e questo sicuramente è un approccio affine alla letteratura.
Raccontiamo quello che ci manca».
L’amore che posto ha occupato nella sua esistenza? Anche lì c’entra la scrittura?
«Nel senso della parola sì. La vita non si capisce, e la letteratura è un’illusione e anche l’unico modo di darle una forma comprensibile».
Come vive le storie d’amore?
«Per me l’amore è cimento, tensione. Ho sempre paura di fare una cazzata. Non mi sono mai rilassato. Ho dato molto all’amore e penso tuttora che sia il miglior modo per rovinarsi la vita».
Il primo amore lo ricorda?
«Una fidanzata del liceo, era una stronza».
Le sue tecniche di approccio quali erano? Era timido o si lanciava?
«Vincevo la timidezza e mi lanciavo facendo il simpatico. Noi maschi siamo molto banali e prevedibili. E convinti che una donna la conquisti se la fai ridere».
Ma è vero, e in questo partiva avvantaggiato.
«Sì. Il problema però di noialtri, che pensiamo di essere spiritosi e intelligenti, è trovare qualcuno che colga l’ironia. Se non è intelligente non ride. Ma non è detto che ce ne accorgiamo subito».
Con la sua ex moglie che storia è stata?
«Importantissima, è la madre di mia figlia. La cosa più bella che abbiamo fatto insieme, e devo dire che è venuta molto bene».
Chiara, 24 anni, ora studia a Bologna. Che rapporto ha con lei?
«Stiamo molto bene insieme, è una ragazza simpatica e spiritosa, siamo simili nei gusti e anche nel modo di sfotterci, divertirci. Tral’altro ho una notizia: mia figlia debutta con un romanzo divertente che si chiamaCongiuntivi Sbagliati per Marsilio».
Un debutto importante, l’ha aiutata?
«Chiara mi ha mandato questo libro mentre ero in treno, stavo tornando a casa. Sono andato in crisi, ho pensato “oddio, mia figlia vuole scrivere e se non è capace dovrò dirglielo e la deluderò”. Poi mi sono fatto coraggio e ho iniziato a leggere. E ridevo con le lacrime.
Ho cercato un riscontro, ho inventato un anagramma di Chiara De Silva: Lisa Radaelich, e l’ho mandato in giro, anche alla mia editor. Uscirà l’anno prossimo, e sono molto emozionato. Ma con il suo nome vero. Io avrei preferito l’anagramma».
Il momento più difficile come padre?
«Quando le ho dovuto dire che mi ero riammalato. Ho avuto due tumori: il primo a 54 anni, il secondo a 57. La prima volta avevo cercato di dare la notizia il più tardi possibile, e lei mi disse una cosa che non ho mai dimenticato: “Io sono tua figlia, se tu stai male voglio stare male con te”».
Una dichiarazione d’amore...
«Sì, e può immaginare quanto sia straziante. Quando mi sono accorto di questo linfonodo, come unapatatina novella sotto la mascella, mi sono confidato con lei prima di fare tutte le analisi. Per me era un incubo, significava riprecipitare un’altra volta in quel burrone, e non avrei mai voluto dividere questa cosa con lei. Ma sono contento di averlo fatto, perché era quello che mi aveva chiesto».
La sua malattia l’ha raccontatafacendola vivere a Vincenzo Malinconico.
«Esatto, spero di averlo fatto in una maniera contenuta.
Ironica, ma spero anche non esibita, un po’ pudica».
Oggi sui social tutti raccontano tutto, e le malattie sono una delle cose che si raccontano più spesso. Perché è importante il pudore per lei?
«C’è un marketing dei propri drammi. Io ho molto apprezzato la scelta di Martin Amis, della sua malattia sapevano solo tre persone. Ho sentito un’intervista a Umberto Galimberti, la cui moglie non avevadetto nulla perché lavorando all’Università, insegnava Biologia molecolare, temeva venissero sospesi i fondi per la ricerca».
Nobile intento.
«Sì, e che ti racconta una persona, lo stile, l’eleganza. Le ragioni possono essere le più varie.
Quando ti ammali ti viene la paura di essere emarginato, escluso da certe cose, di rimetterci sul piano del lavoro. Ti vergogni di essere malato. Questa per esempio è la ragione che mi ha portato a scriverne»,
In che senso?
«Quando mi sono ammalato ero sconcertato. Il tumore è un male subdolo. Improvvisamente ti trovi in una corsia d’ospedale e dici “ma sta succedendo a me?”. Che è un pensiero cretino, ma ti viene, quasi che ti volessi tirare fuori dalla massa umana toccata da questo dramma. Vincenzo Malinconico è la mia voce interiore, che prende per il culo il Creato, iniziando da se stesso. Così sentivo lui che mi diceva “E perché tu no, che cosa avresti di superiore alla media da non poterti ammalare, razza di imbecille”. E siccome questo dialogo è durato nella testa per almeno una settimana, nonostante avessi in programma un altro romanzo, ho detto “facciamo che Malinconico racconta il tumore e la cura”».
Quando ti ammali, in fondo, la vita continua. Comprese le rotture di scatole.
«Esatto, continua tutto. Ho continuato sempre a lavorare, andavo in giro con il parrucchino e il cappellino da baseball, ho fatto di tutto. Durante le cure ero a terra, ma ho sempre lavorato. E credo sia una fortuna, avere un lavoro che ti dirotta i pensieri, che trasforma la paura, lo sgomento e la preoccupazione. Questo soprattutto è l’arte, trasformazione di dolore e disagi in una forma estetica».
Cosa le fa paura?
«Il rimorso di aver perso un’occasione di felicità. Credo che per la felicità valga la pena anche stare male e rischiare. Soprattutto in amore. Se devi soffrire, devi farlo con la coscienza pulita di aver fatto tutto il possibile».
Ha un sogno nel cassetto?
«Beh, non ammalarmi più».
È felice?
«Il mio ultimo libro si chiama
Sono felice, dove ho sbagliato?
Ecco, anche io vorrei saperlo.
Mi domando sempre dov’è il trucco. Qual è la clausola a caratteri piccolissimi che non ho letto. Quando mi capita di essere felice ho l’impressione di essere abusivo. Sono così sospettoso, che se venisse il legittimo proprietario di quella felicità gliela darei indietro. Qui è proprio Vincenzo Malinconico che parla, lasciamolo fare».