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 2024  aprile 03 Mercoledì calendario

Intervista a Maurizio Landini


ROMA – «Abrogare le leggi sbagliate che sono all’origine del lavoro povero e precario». Lo dice Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, mentre annuncia il referendum per abolire il Jobs Act e ripristinare l’articolo 18. «Ridiamo voce e dignità ai cittadini, rimettiamo nelle loro mani uno strumento per decidere. L’Italia ha gli extraprofitti ai massimi e gli stipendi ai minimi. È ora di fare rumore e dire basta».
Segretario, basta a cosa?
«Basta con la propaganda e le promesse da eterna campagna elettorale. Metà degli italiani non vota più, il Paese invecchia, fa muro ai migranti e lascia scappare i giovani all’estero. Anziché lottare contro l’evasione, il governo procede a colpi di sanatorie, concordati, condoni. Diciamo no al lavoro precario, sì al lavoro dignitoso in cui non si muore lavorando».
La battaglia sull’articolo 18 non è di retroguardia? I giovani non sanno neanche cos’è.
«Non lo sanno perché non hanno più tutele e perché sono totalmente precari. Qualche giorno fa ero a Piacenza, all’assemblea dei lavoratori di Amazon. La maggior parte è stata assunta dopo il 7 marzo 2015, senza le tutele degli altri. Ha senso avere in Italia due regimi? Uno che in caso di licenziamento illegittimo ti assicura la reintegra sul posto e l’altro solo un indennizzo?
Mai sentito un giovane dire che da grande vuole fare il precario».
Siamo alla riedizione di Landini contro Renzi? Il referendum rischia di spaccare anche il Pd.
«Noi proponiamo un altro modello sociale di sviluppo, fondato sui diritti ora negati ai lavoratori. L’anno scorso su 7 milioni di contratti attivati solo il 16% era stabile, l’84% precario. E cioè a termine, intermittente, stagionale, somministrato. In Italia quasi 6 milioni di persone non arrivano a 11 mila euro lordi annui di reddito da lavoro. E il governo non ha preso un euro da profitti ed extraprofitti».
Il governo, al contrario, rivendica il record di occupazione e la povertà “stabile”.
«I numeri parlano chiaro. La povertà aumenta. E se anche l’occupazione cresce, significa una cosa sola: si è poveri pur lavorando. È arrivato il momento di cambiare. E di fare un bilancio onesto su 25 anni di politiche di flessibilità del mercato del lavoro, avallate da tutti i governi, dal Libro Bianco di Maroni al Jobs Act di Renzi».
E qual è la sua lettura?
«Precarietà diffusa, disuguaglianze aumentate, salari abbassati, sanità eistruzione tagliati, politiche industriali inesistenti, lavoro insicuro. Il governo Meloni non ha invertito queste tendenze, anzi ha liberalizzato il lavoro a termine e reintrodotto i voucher. A pagare sono soprattutto giovani, donne e Sud. Ecco perché abbiamo deciso di usare anche l’arma del referendum, oltre che quella della contrattazione collettiva, della mobilitazione e della raccolta firme per leggi di iniziativa popolare con le nostre proposte su lavoro, sanità, lotta alla povertà».
Un calendario intenso, a quattro mesi appena dagli ultimi scioperi.
Per ottenere cosa?
«Con la Uil avevamo preso un impegno in autunno con i lavoratori. Senza risposte, avremmo proseguito. Non sono arrivate risposte. Anzi la situazione peggiora. Si continua a morire sul lavoro. E dopo Firenze non è stata aperta alcuna vera trattativa. L’11 aprile scioperiamo per la salute e sicurezza e una riforma fiscale giusta».
Il governo ha introdotto la patente a punti. Non vi basta?
«Serve solo se riguarda tutti i settori e blocca le attività delle imprese che non rispettano le norme di sicurezza. Ma non è così: i punti possono essere recuperati anche con un solo corso di formazione. Noi invece chiediamo di abolire il subappalto a cascata, sia nei lavori pubblici che privati. La responsabilità del committente per ciò che succede lungo tutta la catena. Il ripristino della paritàeconomica e normativa in tutti gli appalti. Serve un nuovo modello sociale che non è quello di Firenze, con i migranti sfruttati, in nero, senza permesso di soggiorno e che muoiono sul lavoro nel silenzio generale».
Con Cisl e Uil avete scelto l’Europa come tema del Primo Maggio. Un messaggio a un mese dalle elezioni?
«Saremo a Monfalcone per costruire un’altra Europa, sociale e del lavoro e per la pace. Per dire basta all’austerità e al nuovo Patto di stabilità, come anticipato dal sindacato europeo il 13 dicembre.
Trovo molto pericoloso che non si discuta di investire su sanità, scuola, transizioni industriali. Ma di nuove spese per armi».
Il governo è pronto a varare il Def. Cosa ci dovrebbe essere?
«Investimenti pubblici e privati straordinari con un’idea di Paese.
Questo è il momento di sostenere lo sviluppo, prendendo i soldi dove ci sono: extraprofitti e rendite. Se invece il governo, come faceva capire la premier a gennaio, toccherà ancora la spesa sociale, siamo pronti a inasprire la mobilitazione. Lavoratori e pensionati non ne possono più di essere il bancomat del governo».
Lo dirà anche al nuovo presidente di Confindustria?
«Dirò che il lavoro non precario e il saper fare devono tornare al centro della discussione. E per questo rinnovare tutti i contratti nazionali del lavoro. La logica del subappaltova rovesciata. Mi aspetto una decisa scelta di campo su questo. Anche perché il nostro sistema manifatturiero rischia di essere messo in discussione. Guardiamo a cosa succede in Stellantis, lo spezzatino di Telecom, la quasi scomparsa dell’acciaio. È il momento di investimenti seri».
Perché la Fiom Cgil non ha firmato il piano di uscite incentivate di Stellantis?
«La produzione auto in Italia utilizza un terzo della capacità produttiva.
Questo è già un chiaro elemento di disimpegno. La Fiom non ha firmato perché quel piano è di fatto un accompagnamento alla cessazione delle attività o alla chiusura degli stabilimenti. Da anni chiediamo che il governo convochi la proprietà e apra una trattativa con i sindacati per definire gli investimenti e l’impatto sulla componentistica.
Anche per questo il 12 aprile tutti i sindacati sciopereranno a Mirafiori.
La mobilitazione per nuove politiche industriali è solo all’inizio».
Quali sono le altre date?
«La manifestazione a Roma del 20 aprile sulla sanità che non funziona: 9 milioni di italiani per curarsi si indebitano per un miliardo all’anno.
Non possiamo stare a guardare: non c’è più un servizio pubblico. Poi il 25 aprile a Milano contro la guerra, per la libertà e democrazia e per celebrare la vittoria sul nazifascismo. Infine il 25 maggio a Napoli con tutte le associazioni della Via Maestra per applicare la Costituzione e unire il Paese contro l’autonomia differenziata. Se il governo va avanti su questo, valutiamo anche il referendum abrogativo».