Corriere della Sera, 2 aprile 2024
Corsa d’oro di Shein
Non si arresta la corsa di Shein, colosso cinese del fast fashion che nel 2023 ha registrato record degli utili a oltre 2 miliardi di dollari (circa 1,8 miliardi di euro) e un fatturato di 45 miliardi di dollari (42 miliardi di euro). La crescita è evidente se si osserva il trend negli anni: nel 2022 i profitti raggiungevano i 700 milioni di dollari mentre nel 2021 salivano a 1,1 miliardi. Numeri che l’hanno portata, ad oggi e solo vendendo online, a superare il gruppo di moda svedese H&M e le britanniche Primark e Next mentre punta ora a tenere testa alla spagnola Inditex, la casa madre di Zara, che nel 2023 ha segnato profitti record a 5,4 miliardi.
Nata nel 2008 dalla mente dell’imprenditore cinese Chris Xu vendendo gioielli online, è diventata in pochi anni, grazie anche all’ingaggio di influencer e celebrities, molto popolare, soprattutto tra acquirenti della generazione Z, anche per i suoi abiti e t-shirt a basso prezzo.
Ora punta alla Borsa anche se con non poche difficoltà. La società ha spostato nel 2021 la sua sede da Nanchino a Singapore, anche per eludere le nuove dure regole cinesi sulle quotazioni all’estero. Shein, che punta a una valutazione di 90 miliardi di dollari (è stata valutata più di 60 miliardi di dollari in un recente round di finanziamento), sta aspettando che le autorità di regolamentazione di Pechino e Washington approvino la sua quotazione, che dovrebbe essere la più grande offerta pubblica iniziale dell’anno. Lo scorso novembre la società ha presentato documenti riservati per la quotazione negli Stati Uniti. Ma nonostante la China Securities Regulatory Commission e la Cyberspace Administration of Chin dovrebbe (secondo quanto riportato dal Financial Times), approvare la vendita di azioni nelle prossime settimane, la domanda alla Sec giace ormai da diversi mesi. Proprio per ovviare la crescente opposizione dei regolatori, sembra che i direttori di Shein siano vicini a preferire Londra a New York per la quotazione, che, al di là dell’operazione finanziaria rappresenta un indicatore dell’atteggiamento di Pechino nei confronti delle società fondate in Cina ma trasferitesi all’estero per evitare tensioni geopolitiche e un test della volontà di Pechino di permettere alle aziende cinesi di raccogliere miliardi di dollari a Wall Street dopo il giro di vite sul settore tecnologico.