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 2024  aprile 02 Martedì calendario

Cottarelli, il supertecnico che rinunciò a Palazzo Chigi. E quell’incontro con Conte «Mi colpì la sua prolissità»

Che strana la storia di Carlo Cottarelli. Un tecnico, anzi un super tecnico, che dal Fondo monetario ha messo il naso per 25 anni nei bilanci degli Stati di mezzo mondo; che è stato commissario alla spending review di un governo italiano, e poi fondatore di un Osservatorio sui conti pubblici; insomma un fustigatore della politica spendacciona. Ma un tecnico che, proprio per questo, è stato a un passo dal diventare presidente del Consiglio, nell’ora più pericolosa per la Repubblica dai tempi della crisi finanziaria del 2011. E che, sempre da tecnico, capì però subito che sarebbe stato molto meglio per l’Italia se lui quel governo alla fine non l’avesse fatto.
Lo racconta in un libro autobiografico (Dentro il Palazzo): un lato A dedicato alla breve esperienza da senatore, mandato da cui si è dimesso; e nel lato B gli straordinari eventi che portarono il presidente Mattarella a dargli l’incarico di formare un governo dopo le elezioni del 2018, mandato che poi lui rimise. Ma andiamo con ordine.
Innanzitutto, dovete sapere che il primo a proporgli di entrare in un governo fu Giuseppe Conte. Il che è davvero singolare, visto che fu poi Conte a prendere il suo posto e a fare davvero il governo. Inoltre fu il partito di Conte, allora guidato da Luigi Di Maio, a minacciare l’impeachment contro Mattarella proprio perché gli aveva dato l’incarico.
Andò così: prima delle elezioni i Cinque Stelle, favoriti nei sondaggi, volevano presentare agli elettori un governo già bell’e pronto. Cottarelli riceve un giorno una telefonata da un signore che non conosce e che lo invita al Caffè Greco a Roma, dice che porta un messaggio di Di Maio: «Mi sembrava non arrivasse mai al punto», racconta Cottarelli di questo avvocato, «sinceramente non ricordo nulla di quanto mi disse... Non fui particolarmente colpito se non per la sua prolissità». Conte gli offre il posto di ministro dell’Economia nel prossimo governo. Lui ci riflette un po’ e risponde: «No grazie, non sono d’accordo con la vostra politica di bilancio» (poi ci provò anche Berlusconi, che addirittura annunciò in tv di aver arruolato Cottarelli, il quale però non ne sapeva niente, e niente ne volle sapere).
Arrivano le elezioni. I Cinque Stelle sono il primo partito. La Lega il terzo. I due populismi provano a mettersi insieme. E si scelgono come premier proprio quell’oscuro avvocato del Caffè Greco. Il quale si presenta da Mattarella con la lista dei ministri. C’è un solo problema: al Tesoro, dove avrebbero voluto Cottarelli, ora c’è Paolo Savona. Diciamo che, rispetto all’Europa, i due erano come il diavolo e l’acqua santa. Tanto europeista Cottarelli quanto euroscettico l’altro, che aveva addirittura partecipato alla stesura di un piano B per l’uscita dall’euro. Situazionismo politico. Mattarella, che per Costituzione ha il potere di nominare i ministri, non accetta Savona, e invita i gialloverdi a cambiare cavallo. Di Maio e Salvini rifiutano. Lo spread prende il volo. Caos totale. A quel punto il Quirinale fa la mossa del cavallo. Convoca Cottarelli e gli dice: guidi lei un governo tecnico, composto da personalità indipendenti che s’impegnino a non candidarsi alle prossime elezioni. Se avrà la fiducia va avanti fino a fine anno, per la legge di Bilancio, e poi si dimette. Se non l’avrà, sciolgo le Camere e lei gestirà le immediate elezioni.
Cominciano così le «quattro giornate di Cottarelli», catapultato al vertice della politica romana con un trolley, un laptop e uno zainetto. A scegliere tredici ministri e un sottosegretario alla presidenza ci mette poco. Ma siccome a uno a uno tutti i partiti si sfilano, e sembra chiaro che la fiducia non l’avrà, i mercati impazziscono: si va alle elezioni, di fatto un referendum sull’euro. Così anticipano il rischio: fuga di capitali, crollo in Borsa, spread che nel giro di poche ore, martedì 29 maggio, schizza di quasi 100 punti fino a quota 320. Mai visto prima un balzo simile in un solo giorno.
Così, quando torna al Quirinale e Mattarella gli chiede che intenda fare, Cottarelli saggiamente risponde: un governo senza la fiducia non può gestire questa crisi, qui in un niente arriviamo a 1.000 di spread. È lui stesso che suggerisce di riprovare con i due dioscuri gialli e verdi: che cambino Savona al Tesoro e facciano un governo politico.
Sappiamo tutti come è finita: esattamente così. La crisi del 2018 fu forse il punto più basso dell’impazzimento del sistema politico italiano. Se ne uscì grazie alla pazienza infinita del presidente, e al senso dello Stato di questo mancato Cincinnato. Uscendo dal Quirinale, dopo aver rimesso il mandato, Mattarella gli disse: «La Repubblica è in debito verso di lei». L’uomo provò un moto di orgoglio. L’economista pensò al debito pubblico, e rabbrividì.