il Fatto Quotidiano, 2 aprile 2024
Zucchero. “Senza live non è vita”
Tre concerti strepitosi alla Royal Albert Hall di Londra. Un nuovo tour in giro per il mondo. Una forma invidiabile. E una chiacchierata con una decina di giornalisti. Oro e incenso e birra compie 35 anni. Il secondo disco più venduto di sempre in Italia.
Sarebbe il primo tra edizioni speciali e ristampe, ma i premi non contano. Ormai gli Awards sono come le caciotte: li danno a tutti.
Alla Royal Albert Hall sei di casa.
Sì, ma ci siamo presi un grande spavento. Uno dei miei batteristi, Adriano Molinari, si è sentito male il giorno prima del debutto. Il suo sostituto, Phil Mer, è partito da Bolzano all’alba e ha dovuto imparare tutto in poche ore.
Sei tra i pochi a suonare tutto dal vivo.
Non saprei fare altro, figurati se uso le basi. Ho una band pazzesca, potrei cambiare scaletta ogni giorno.
A Londra avevi accanto Jack Savoretti per Senza una donna.
È un mio grande fan. Magari per le date italiane chiamerò Eric Clapton, oppure Mark Knopfler. E poi mi piacerebbe cantare con Cat Stevens.
Un duetto che avresti voluto fare?
Amy Winehouse. L’ultima volta l’ho vista per il concerto per Mandela, ma salì sul palco molto traballante, e poi è andata com’è andata. Oggi i duetti non li faccio quasi più, perché sono un bastian contrario e adesso c’è la moda dei featuring fini a se stessi.
Come scegli la scaletta?
Certi brani devono esserci, il pubblico vuole le canzoni più popolari. Però recupero sempre canzoni inattese, tipo Pene e Ci si arrende. Prima o poi riprenderò Nella casa c’era, la adoro.
Donne non la fai quasi mai.
Mi vergogno a dire “du du du”. Non scherzo.
Potresti farlo dire al pubblico.
E se poi il pubblico non canta?
Come no…
(Sorride) Non si sa mai.
Vasco dice che vuole morire sul palco.
Io l’ho detto molto prima. A breve compirò 70 anni: la vita che mi resta sarà dedicata ai concerti. Se sto fermo mi rompo le palle. Il disco è un lavoro francescano, sto lavorando a quello nuovo e mi piace, ma il tour ti fa sentire vivo. Non ha neanche senso fare i tour d’addio perché non so quando avrò voglio di smettere. Credo mai.
Potresti festeggiare i 70 anni tornando a Sanremo.
E a fare che? Quest’anno l’ho visto poco, ormai è uno spettacolo televisivo. Sanremo ha davvero stracciato i maroni. È come vedere 700 volte un programma di Maria De Amicis.
De Filippi.
Io la chiamo così. Siamo l’unico Paese in cui ancora si fanno gare di canzoni neanche fossimo ai tempi del Colosseo. Evidentemente al pubblico queste cose piacciono: non ci siamo evoluti.
C’è qualcuno che ti piace dei nuovi?
Salmo e qualcosa di Marrakech. Non mi viene in mente molto altro.
All’estero come siamo visti?
Musicalmente bene, pensa ai Maneskin. Certo, spesso all’estero vogliono ancora da noi O sole mio, l’ho visto accompagnando Bocelli in America. Se poi parli di politica, lasciamo perdere. E comunque gli Stati Uniti hanno poco da sfotterci, visto come stanno messi.
Il governo sta pensando a leggi che limitino la violenza nelle canzoni.
(Scrolla la testa). Se provano a farlo, vuol dire che ci sono artisti deboli. Te lo immagini De Andrè o Guccini che obbediscono alle censure dei governi? Tutto si è annacquato, anche il rock. E poi: la violenza… quale? Io trovo che molti politici siano già più violenti di qualsiasi canzone, anche solo andando in televisione.
Andresti a suonare in Russia?
No, come non suonerei mai per Trump. Peggio ancora per Netanyahu.
Nel tour canti anche Miserere.
In quel periodo ero messo male. Depressione pesantissima. A Londra usavo lo stesso hotel di oggi. Al tempo era tutto dark e cupo. Non aprivo mai neanche le finestre. Oggi invece ho capito che bisogna cercare uno spirito nel buio.
A Reggio Emilia ti hanno dato la cittadinanza onoraria.
Mi ha fatto piacere, la provincia di Reggio è stata casa mia fino agli 11 anni, e poi non ho avuto più casa. Men che meno Forte dei Marmi. Per carità. Non alludo ai nativi, ma alla “filosofia di vita” che c’è in una certa Versilia. Tranquillo che lì la cittadinanza onoraria non me la daranno mai.
Hai davvero paura di non riempire San Siro?
Sì, anche se invece lo sto riempiendo.
Temi di essere più amato all’estero che qui?
Non direi, però rifletto spesso su quello che hai scritto un anno fa sul Fatto dopo avermi visto a Berlino.
Cosa?
Che io sia l’unico in Italia a passare da momenti alti come Dune mosse a canzoni goderecce come Vedo nero. Non ci avevo mai riflettuto, e in effetti è vero. Forse questa cosa spiazza, ma il blues è anche questo: c’è sempre il sesso e il doppio senso. E poi io sono così: a volte forse profondo, ma ho anche una dimensione molto terrena ed emiliana, resa più godereccia dalla frequentazione di un certo vernacolo toscanaccio.
Che obiettivo ti dai oggi?
Dare più luce, perché sono tempi davvero terribili.