La Stampa, 31 marzo 2024
Non siamo tutti Muhammad Ali. Il pugile sul ring come un’opera d’arte
È il 24 gennaio 1963. Ali, che al tempo si fa ancora chiamare Cassius Clay, combatte un incontro presso la Civic Arena di Pittsburgh contro Charlie Powell, ex giocatore di football, un vero e proprio gigante. La mattina dell’incontro Ali profetizza davanti ai giornalisti che avrebbe mandato al tappeto Powell al terzo round e poi compone per loro il titolo per pubblicizzare l’incontro: «Il bello e la bestia». Powell non gradisce questo atteggiamento provocatorio e al termine del secondo round si rivolge ad Ali con queste parole: «Su femminuccia, bel bambino, non sai colpire più duro di così?». Il terzo round inizia. In un raro video dell’incontro si vede il gigante di Pittsburgh subire una serie impressionante di colpi da parte di Ali fin dall’inizio della ripresa. All’ennesimo gancio di Ali, Powell finisce al tappeto. La femminuccia vince per KO al terzo round come profetizzato. Il bello batte la bestia.
Ai giornalisti presenti nel suo spogliatoio dopo il match Ali consegna parole inaudite che lasciano tutti a bocca aperta: «Sono così bello! Lasciatemi vestire. Qua fuori c’è una marea di belle ragazze che aspetta solo me!». Queste parole sono tasselli nella lucidissima costruzione di sé di Ali, che non vuole definirsi semplicemente attraverso l’appartenenza al mondo della boxe e ai suoi codici rodati scritti dai bianchi. Il mondo della boxe intima a Ali qualcosa di chiaro: adeguarsi a un modello di atleta come bestia feroce senza cervello che combatte per il piacere degli spettatori in gran parte bianchi. Ali ne è consapevole. Nella sua autobiografia analizza questo punto con grande lucidità: «Stavano dicendo, compresi, che mi avrebbero accettato come campione del mondo dei massimi soltanto alle loro condizioni. Soltanto se avessi recitato la parte dell’atleta tonto e bestiale, in sintonia con tutto ciò che pensa il Potere».
Ali non si adegua a ciò che pensa il Potere. Non si adeguerà mai. Anche quando la pressione del Potere sulla sua nuda vita coinciderà con il Potere giuridico-politico degli Stati Uniti d’America. Ali non si adegua, ma non si presenta come vittima del Potere. Ali mette in atto una strategia di contro-potere che lavora alla costruzione di una nuova figura di atleta-pugile, qualcosa che il mondo della boxe non aveva mai visto. Una forma di vita inedita. In un mondo dove vige la legge virile della forza bruta e in cui la categoria di bellezza non ha cittadinanza e viene irrisa, Ali si presenta come un atleta che viene da un altro mondo, atleta bello, addirittura «grazioso», «carino», pretty: «Sono così carino che sopporto a malapena di guardarmi». La bellezza conta, conta moltissimo: è la forma data alla forza. E ha una valenza etica e politica. Ali, come i Greci, lo sa. Quando ancora frequenta la Central High School di Louisville, un’insegnante, accortasi che Clay è distratto, gli chiede: «Cassius, cosa intendi fare della tua vita?».
La risposta di Ali è una prodigiosa lezione incarnata di filosofia come cura di sé e arte della vita che avrebbe potuto insegnare molto a Michael Foucault, ma che Foucault non seppe vedere. La risposta è la forma di vita chiamata Ali: una sfida al potere biopolitico attraverso una riattualizzazione dell’ideale greco di “kaloskagathia” (alla lettera: “bellezza e bontà"), che Platone nelle Leggi spiega come il tentativo di «realizzare nel corpo e nell’anima tutta la bellezza e tutta l’eccellenza possibili».
La “kaloskagathia” è un aspetto culturale fondamentale della civiltà della Grecia antica il cui modello, ripreso dalla filosofia, è tratto dall’ambito dello sport, la cui presenza in Grecia è anteriore a Omero stesso. L’archeologia ha attestato l’esistenza della boxe a partire dall’epoca del Bronzo; e probabilmente la parola greca per allenamento, “askesis”, è legata in modo privilegiato al pugilato a tal punto che “asketoi”, alteti, sono in primo luogo i pugili. La “kaloskagathia” è una virtù agonale legata alla volontà di essere il migliore in ogni aspetto all’interno di una competizione, di un confronto, di un combattimento, in cui corpo e virtù fanno tutt’uno. La “kaloskagathia” è un atletismo del corpo e dello spirito. “Kaloskagahtos” è in primo luogo l’atleta, ad esempio, un pugile.
Nell’Olimpica X Pindaro, celebrando il pugile di Locri Agesidamo, elogia la sua bellezza con una formula che in greco suona “idea kalos” e che non significa idea di bellezza, ma proprio l’apparire corporeo della bellezza, la sua forma incarnata, il suo mostrarsi alla vista come qualcosa che illumina: lo spettacolo della bellezza. Nel 1974 Norman Mailer scrive uno straordinario libro-reportage, Il combattimento, sull’epico incontro per il titolo dei pesi massimi tra Muhammad Ali e George Foreman tenutosi a Kinshasa il 30 ottobre di quell’anno. In apertura del libro Mailer, descrivendo la bellezza luminosa di Ali, richiama chiaramente i testi poetici di Pindaro dedicati agli atleti della Grecia antica. Parlando del più grande come del più bello, Mailer presenta Ali come una nuova incarnazione nera dell’ideale atletico greco del “kaloskaghatos”.
Anni dopo, nel 2012, una famosa foto di Ali che sprona rabbioso Sonny Liston, al tappeto, a rialzarsi verrà usata come foto di copertina dell’edizione dell’Iliade curata da Edward McCroire ed edita dalla John Hopkins University Press. Criticata dal classicista James Romm come «ridicola», questa scelta è in realtà azzeccatissima, perché coglie il legame sotterraneo che scorre tra la figura estetico-etica dell’atleta greco e Ali, l’uomo che ha fatto di sé una delle più grandi opere d’arte del Novecento che si rivolge al pubblico per essere ammirata: «Guardatemi! Sono bellissimo. E resterò bello perché sulla terra non esiste un pugile che sia abbastanza veloce per colpirmi!».
Questa bellezza è armoniosa, elegante e ha qualcosa di femminile. È «graziosa»: è la bellezza di un pugile che danza sul ring come una farfalla e che non si preoccupa di presentarsi a scuola, un giorno, vestito da ragazza con il rossetto. C’è un solo altro guerriero, bellissimo e valoroso, che si è travestito da donna. È un greco. Il suo nome è Achille. Ali è un Achille nero in guerra con l’America suprematista bianca. —