La Stampa, 31 marzo 2024
Sull’autismo
Oggi si parla di autismo. Noi genitori a cui ci è toccato dovremmo gioire, è la nostra giornata internazionale e tutti oggi ci manderanno cuoricini sui social. “Bravi! Siete splendidi, vi vogliamo bene, meravigliosi, unici, eroi, santi!"
Sempre meglio di un calcio in bocca, l’afflato emotivo da post condiviso che, per un giorno, si sposta dai teneri gattini ai “poveri autistici” un po’ dovrebbe compensare l’indifferenza che avvolge perennemente chi ha in carico un gigante non sempre fotogenico e dalla mente balzana.
Accenno a quelli passati nella maggiore età, perché sono quelli meno visibili e sui quali non intravedo cenni di attenzione istituzionale. Si continua a parlare quasi sempre e comunque di “bambini autistici”, è più facile, fanno più tenerezza e, soprattutto, si evita l’imbarazzo di accennare al fallimento totale di ogni concreta attuazione della legge sul “dopo di noi”. Va da sé che quando i nostri parlamentari votano compatti alla Camera per una legge che sancisca il motocross acrobatico come toccasana terapeutico per l’autismo, siamo al rango della barzelletta e non vale più la pena nemmeno di cercare interlocuzione in merito.
Non vedo sinceramente novità rispetto a quanto scrissi in questa occasione l’anno scorso, due anni fa e non ho il coraggio di tornare indietro, visto che sono più di dieci anni che scrivo di autismo e parlo più ampiamente di neuro divergenza ovunque me ne sia data occasione. Qualcuno può negarmelo? Eppure leggo solo ottimismo nelle dichiarazioni istituzionali di circostanza in questi giorni in cui i monumenti si illuminano di blu.
Quanto tempo occorre mediamente per avere una diagnosi e avviarsi nel lungo cammino del riconoscimento dell’invalidità? Nel nostro Paese, o chiamatelo Nazione se vi sembra più identitario, quanti sono i centri con competenze reali nel diagnosticare l’autismo e indirizzare verso un percorso terapeutico coerente? Tutto è a macchia di leopardo, dipende da dove si nasce, altrimenti non ci sarebbero chilometriche liste di attesa nei pochi punti di riferimento specializzati.
Vogliamo parlare della scuola? È accertato che per un bambino con autismo severo la nostra legge invidiatissima non è applicabile. Fino a che gli organismi scolastici faranno muro di fronte all’idea di un sostegno specializzato e costantemente aggiornato, i ragazzi neuro diversi resteranno in carico di persone “di passaggio” senza alcuna competenza nel gestire la loro effettiva inclusione. Mi fa ancora male il video di qualche giorno fa, con l’insegnante che gestisce un incontro sul bullismo e perentoria chiede che sia allontanato il ragazzo autistico colpevole, secondo lei, di “infastidire” con i suoi versi. Sempre ignoranza, incompetenza, discriminazione. L’importante è che sia salvo il decoro, che i cervelli standard non subiscano il fastidio dell’interferenza di un cervello ribelle. Quello che Basaglia provò ad abbattere sta rientrando, sommessamente, nel disprezzo dell’educatore della stirpe dei savi verso il bambino che manifesta qualche sintomo di divergenza.
Arriviamo finalmente agli adulti nello spettro. Comincio a guardare con sufficiente senso di sospetto questa tendenza di grande moda a voler considerare l’autismo come una sorta di spleen, una malinconica asocialità, un’insofferenza a sentirsi incasellati da definizioni rigide e prive di sfumature. Il rischio è che se l’essere autistici si limita a questo, esisterà solo un’alternativa “reclusiva” per tutti quelli che hanno bisogni di farmaci per controllare attacchi epilettici, che hanno comportamenti problema, che da soli non possono nemmeno affacciarsi all’uscio di casa. Quelli che non parlano, quelli che vanno accompagnati per strada tenendoli sotto braccio perché non si infilino sotto a un tram, quelli che la notte si agitano e hanno bisogno di una persona accanto che tenga loro la mano.
Di questi al momento ce ne occupiamo solamente noi genitori, lo facciamo volentieri e lo faremo fino a che avremo fiato in corpo. Non sono quelli carini e divertenti che fanno passerelle in tv, che si fanno abbracciare dai ministri e fanno selfie con i vip, non sono quelli che si esibiscono in prodezze da circo e per cui tutti battono le mani commossi, ammirati per chi li porta in motocicletta a spasso per il mondo, mette loro il grembiule e fa servire la pizza, li trasforma in musicisti, teatranti, artisti. Mi ci metto anche io, figuriamoci, ma nessuno di noi, genitori da talk show, sarà mai sufficientemente rappresentativo di quel buco nero senza una scintilla di luce in cui invece sprofondano gli autistici indicibili, quelli che nessuno vuol vedere e che tutto spinge perché continuino ad essere fantasmi per il resto della loro vita. —