la Repubblica, 1 aprile 2024
Una buca unisce Roma e Milano
Non solo Roma ha le buche, ma anche Milano. Il sindaco Sala le ha fatte contare e a un primo censimento sarebbero almeno 300, per cui serviranno 22 milioni di euro per chiuderle – s’immagina che si tratti di buche di un certo rilievo, visto il loro numero tutto sommato ridotto. Senza poi contare quelle che le piogge copiose di questi mesi hanno aperto intorno ai binari dei tram per 50 chilometri e un costo presunto di altri 12 milioni.
Le buche sono la croce di automobilisti, motociclisti e cicloamatori, di tutti quelli che si spostano facendo girare le ruote dei loro veicoli. Certo l’asfalto, un composto di bitume e di materiali inerti, per lo più ricavato dagli idrocarburi per ossidazione, cui abbiamo affidato la transitabilità delle nostre strade, non è eterno, sebbene il suo etimo significhi: “senza cadere”, o anche: “indistruttibile”.
Vero che le strade moderne non esisterebbero senza questa superficie scura tra il grigio e il nero. L’aveva capito Walter Benjamin che nei suoi Passage cita un testo dedicato all’asfalto, Physiologie de l’asphalte, per dimostrare la sua assoluta democraticità.
Il compito che gli abbiamo dato a partire dall’inizio del Novecento – il suo “inventore” sarebbe stato nel 1902 uno svizzero, Ernest Guglielminetti – è quello di limitare la polvere nelle strade, rendere percorribili i marciapiedi e vincere il fango nella brutta stagione. Con l’avvento delle automobili poi è stato necessario asfaltare la maggior parte delle strade che non fossero già ricoperte da pietre o lastre.
La Capitale sprofonda sull’antica Roma di tufo, catacombe e cunicoli: nessuna zona è al sicuro. La mappa delle strade a rischio voragini
di Valentina Lupia
29 Marzo 2024
Oggi in molte vie delle città italiane si tolgono le antiche selci, che disturbano il transito dei veicoli con ruote, per cui le buche sono diventate il nuovo incubo di chi le percorre: le voragini si aprono per la pioggia e per il logoramento del manto a causa del passaggio reiterato delle autovetture.
Anni fa una bella mostra curata da Mirko Zardini, Asfalto, il carattere della città (Electa), fece capire come questo duttile materiale, di cui anche l’Italia possiede diverse cave, è una sostanza stregata e ben poco valutata, anzi detestata, tanto che in Usa, dove si producono oltre 572 milioni di tonnellate di asfalto l’anno, si pratica il depaving: il taglio e l’asportazione di superfici ricoperte dal bitume da parte di gruppi di ecologisti.
L’usura del catrame misto a sassi è inesorabile: si crepa, si deteriora, si logora, si spacca, si sbriciola. Costa parecchio perché una buca, una volta prodottasi, non si riesce a sistemarla definitivamente, e perciò riparare significa riasfaltare per intero la strada.
Due filosofi italiani, Roberto Casati e Achille C. Varzi (Buchi e altre superficialità, Garzanti), anni fa si sono interrogati su che tipo di oggetto sarebbe un buco, ovvero l’ente astratto cui fa riferimento la depressione aperta in una superficie stradale.
La loro conclusione è che non sappiamo esattamente cosa siano i buchi, per quanto li attraversiamo, li evitiamo, ci cadiamo dentro o, come ha fatto il Nuir (Nucleo intervento rapido del Comune di Milano), li possiamo contare e persino misurare. Spesso confondiamo i buchi con le cavità, le rientranze, le crepe, le fenditure, le fessure, i fori. I due filosofi, che si confrontano per mestiere con i problemi d’ordine logico, parlano dei buchi come di entità ontologiche.
La definizione migliore l’ha data uno scrittore, poeta e cabarettista tedesco perseguitato dai nazisti, Kurt Tucholsky: «C’è un buco dove non c’è qualcosa». Per questo ci finiamo dentro per distrazione o più spesso perché non li vediamo, e poi perché siamo convinti di scivolare indenni sulla piana superficie bituminosa e non pensiamo che quel “qualcosa” possiamo anche essere noi o le ruote dei nostri veicoli.