il Giornale, 31 marzo 2024
Intervista a Fabio Caressa
Per le sue telecronache ha studiato la metrica dei poeti antichi, mica cavoli.
E così anche nelle puntate di Pechino Express (in onda il giovedì sera su Sky), o nella normale conversazione, in certi picchi emotivi sembra il Fabio Caressa, cuffiette e adrenalina, che scandisce il nome e il cognome del calciatore dopo un gol.
Lui studia (“Non sopporto l’idea di farmi trovare impreparato”). Studia sempre (“Ho il più grande archivio europeo di dati sui calciatori. Come me solo Marianella”). Ha studiato per preparare Pechino Express, uno dei migliori programmi in tv, in cui nove coppie si sfidano ad attraversare Vietnam, Laos e Sri Lanka senza l’aiuto del cellulare, con a disposizione un euro al giorno, una torcia e una mappa (cartacea). E puntando solo sull’ospitalità di chi si incontra (“un’esperienza umana meravigliosa”).
E allora sa tutto dei costumi locali, ha imparato alcuni termini; conosce monumenti e tradizioni, cosa evitare e cosa cercare. Con la figlia, perfetta socia nel viaggio, che lo tratta in stile fratello sapientino da tenere calmo quando le troppe informazioni si incastrano nell’imbuto emozionale (“Lei mi ha sorpreso e reso ancor più felice”).
Nella prima puntata si è sentito male dopo aver mangiato una tartaruga.
Ovunque vado mi chiedono com’era e ogni volta rispondo “lo avete visto”. Erano le 11 del mattino.
Buongiorno.
Sono stato proprio male; dopo un’ora di gara ho capito che non ci sono aiuti sottobanco.
Sperava nel bluff.
Un po’ lo ammetto.
A volte piange, in altre urla. Quando si riguarda, si piace?
Ho deciso di essere me stesso; (ci pensa) il bello di Pechino è uno: nonostante 35 anni di tv, vieni talmente messo alla prova, sia psicologicamente sia fisicamente, da far saltare ogni sovrastruttura, da non poter mantenere una continenza emozionale; è un po’ come è accaduto con le telecronache durante il Mondiale o l’Europeo.
Sua figlia a volte è basita nel vederla in lacrime.
Ho capito un aspetto: la mia generazione è cresciuta con l’idea che gli uomini non si commuovono. E non va bene, è un punto di debolezza, non di forza.
Sembra sempre in telecronaca.
(Ride) È il mio modo di essere, alla fine sono un raccontatore, la mia vita è così; poi mi piace sentirmi preparato in ogni occasione.
Questo è chiaro.
Avevo studiato.
Sempre.
Capita pure quando parto con la famiglia.
Caressa-Planet.
Uno deve entrare nella cultura altrui, immergersi, accettarla.
Sua figlia calma. Serena. Mai oltre.
Quando rivedo le puntate sono orgogliosissimo di Eleonora.
La prima riconquista in Italia.
Una carbonara; per la trasmissione ho perso quasi otto chili.
Il calcio le è mancato?
(Sognante) Tantissimo. Soffrivo senza i risultati dei match.
Niente, niente?
Ogni tanto rubavo pezzi di discorso tra i membri della produzione; in un paio di casi sì, sono riuscito a sbirciare le notizie sul calcio inglese.
Ossigeno.
Ho una fortuna: in questi anni, a Sky, nessuno mi ha mai dato indicazioni su cosa poter dire e cosa no, sono libero, quindi la passione è intatta.
Le sono mancate le dichiarazioni dei calciatori post-partita?
(Immediato) Quelle mai.
Sono noiose.
Un po’, ma è pure colpa nostra: non ci rendiamo conto che, se piazzi il microfono davanti al viso di un calciatore che ha smesso di correre trenta secondi prima, non puoi sperare nella sua totale lucidità.
Restano oltre la noia.
Però alcuni allenatori sono diventati molto più razionali e attenti nell’analisi della partita.
A chi pensa?
Daniele De Rossi sta emergendo come un professionista che offre analisi bellissime.
Stupito.
Non ha alcuna sovrastruttura, esprime quello che pensa.
Ammette gli errori.
Anche troppo. Alla lunga non è mai utile; (pausa) parla con grande correttezza culturale.
Ce ne fossero.
Eh…
Allegri manda a quel paese…
L’ultima sbroccata mi ha un po’ sorpreso.
Lei si occupa di calcio, a Pechino Express ha dimostrato una predilezione per le donne; gioca a poker, sa di boxe. È proprio un maschio alfa.
Non so se sono alfa… (pausa, ride) sono un maschio basico.
Aggiungiamo: sua moglie, Benedetta Parodi, cucina.
Lo so, sono un italiano medio.
Soddisfatto?
Lo dico con orgoglio.
Apparecchia e sparecchia?
Non è il mio dato primario, ogni tanto a casa vengo criticato e le mie due figlie sono attente che il fratello non cresca in ambito patriarcale.
Il patriarcato non è di moda.
In casa viene osteggiato.
Le piacciono i fiori?
No, faccio fatica.
Ottimo per la vecchia visita del militare.
Infatti all’epoca mi definirono “perfettamente idoneo”; sono stato anche in Afghanistan.
Non si fa mancare niente.
Nel 2010 per tre settimane con le truppe italiane.
Chissà che studi…
A me piace sapere e la conoscenza ti permette di affrontare l’imprevisto e abbatte la possibilità di risultare sfortunati; lo spiego pure nei miei speech aziendali; (silenzio) se uno al casinò sapesse la velocità della pallina, da dove parte, il supporto della roulette e avesse un’altra serie di parametri, abbasserebbe di molto le probabilità di sconfitta.
Quando lo ha capito?
Nel momento in cui mi sono interessato di statistiche legate al calcio: in un libro due economisti inglesi hanno smontato alcuni luoghi comuni.
Tipo?
Sono dati di qualche hanno fa, nel frattempo le squadre si sono adeguate; secondo loro era sbagliato esaltarsi per un calcio d’angolo, quando si segnava una rete ogni dieci partite.
Soluzione?
Le squadre sono cresciute di statura media e hanno cambiato le tattiche.
Come andava a scuola?
Il massimo dei voti: diplomato con 60 e laureato con 110.
Da telecronista viene spesso indicato come il più bravo. Ci si sente?
(Ripete la domanda) Non mi fermo: ultimamente ho fatto meno telecronache, e questo mi dava la sensazione di perdere un po’ il ritmo, allora ho chiesto a Sky di venir impegnato il venerdì sera sul campionato tedesco.
Si tiene in allenamento.
Bisogna migliorarsi ogni giorno, risentirsi, evitare le pieghe sbagliate.
Riascolta anche le vecchissime telecronache.
Quello no.
Non è curioso.
La voce è diversa, come le tecniche e le riprese. Lavoro sul domani.
Soffre nell’errore?
Non più. Lo segno per non ripeterlo.
Di chi non ama il calcio cosa pensa?
Che si perde una delle manifestazioni più emozionanti della vita.
Acerbi assolto dalle accuse di frasi razziste contro Juan Jesus.
Ho condiviso le parole di Federico Ferri (direttore di Sky Sport, ndr): non basta quello che è stato scritto. Se c’è stata un’offesa, dobbiamo sapere cosa si sono detti i due calciatori, deve essere reso pubblico per avere un’idea precisa. Come al solito sono rimaste inevase troppe domande.
Il calcio è un mondo omertoso?
Tendenzialmente rischia di esserlo. Credevo fossero stati compiuti passi in avanti.
Una realtà carica di retorica.
Anche la storia “rimane nel campo” o “rimane nello spogliatoio” non è più accettabile.
Aveva un suo fascino.
Un esempio: per anni Mourinho si è affidato a una comunicazione che andava bene prima, ma con questa nuova era tutti sanno tutto, ci sono cento testate che riportano, quindi oggi è meglio rendere ogni aspetto il più chiaro possibile. Questa chiarezza sarebbe stata utile nel caso di Acerbi.
Molti avranno pensato che Juan Jesus doveva tacere.
(Scandito, alla Caressa) Inaccettabile. Su alcuni temi, sui quali i nostri figli stanno costruendo una nuova cultura, non si può avallare; (cambia tono) non può più esistere che i giocatori, in campo, possano dire qualsiasi cosa, perché sono portatori di messaggi culturali, e se lo devono mettere in testa, e come loro gli allenatori, i dirigenti, e anche noi.
Questa responsabilità l’ha sempre avvertita ben chiara?
Sì, ma non sempre sono riuscito a comportarmi di conseguenza; quest’anno a volte ho alzato troppo i toni e l’ho ammesso in diretta. E poi la mia generazione non è stata cresciuta con tali tematiche.
Nel 2006 ha dichiarato: “Eugenio Fascetti è il più maleducato”.
Lo abbraccio, ma resta il primato.
Anno 2010: “Balotelli sarà la punta più forte al mondo”.
Me lo auguravo. Ed è la cosa che mi dispiace di più in ambito sportivo; molti calciatori non hanno capito che il solo talento non serve a niente, ci vuole il lavoro e un atteggiamento positivo. Altrimenti lo butti via.
Cassano lo ha buttato via?
Dopo Messi e Maradona è stato il giocatore con maggiore talento che abbia mai visto.
Più talento di Totti.
Tecnicamente sì, poi Totti aveva altre doti, come la capacità di servire assist senza guardare il compagno. Lui ha cambiato il ritmo del gioco.
Di chi ha la maglietta?
Non molte: Totti, Del Piero e Baggio, poi Diana ai tempi del Palermo, e non so il perché, aggiungo Buffon, Cannavaro e Ulf Kirsten quando giocava nel Bayer Leverkusen. Kirsten è stato il primo giocatore di cui ho gridato il nome in telecronaca (era il 1992, ndr).
Scandisce, ritmato.
La base, la tecnica della mia telecronaca l’ho ripresa dagli antichi: se per secoli i poeti e i cantastorie si sono affidati alla metrica, con un po’ di musicalità e di scansione, vuol dire che funzionava.
Suo cognato è Giorgio Gori, sindaco Pd di Bergamo. Vota come lui?
Sono un centrista.
Renziano?
Faccio fatica a identificarmi.
Suo cognato a suo modo è centrista.
È molto Pd; comunque come tradizione sono Radicale.
Altre volte si è definito socialista.
Da ragazzino, fino ai 17 anni. Ho partecipato a un congresso al Terminillo: lì ho capito che non era il mio mondo, non mi piacevano certi comportamenti. E poi sono rimasto folgorato da Pannella e da certe sue visioni civili.
Ha fumato erba con lui?
Mai visto con una canna.
Sicuro?
Giuro. Al massimo fumava un pacchetto di Gauloises in tre ore e andavo a comprargli le stecche: ero il ragazzo di bottega.
Lei chi è?
(Primo vero silenzio). Cazzo che domanda.
Può scandire il suo nome e cognome in metrica.
(Altro silenzio, lunghissimo) Sono uno che si è costruito e continua a costruirsi tutti i giorni della vita.