la Repubblica, 31 marzo 2024
Intervista a Giorgio Panariello
«Questo show è un’esperienza bellissima e traumatica, non amo improvvisare, le prime due puntate studiavo gli altri», racconta Giorgio Panariello. «Si dicono anche tante cavolate, la gente non lo sa, ma sei dentro quella casa per ore e ore». No, non è la casa del Grande fratello:il comico toscano è tra i protagonisti (con Aurora Leone, Lunanzio, Edoardo Ferrario, Lucia Ocone, Rocco Tanica, Maurizio Lastrico, Angela Finocchiaro, Claudio Santamaria, Diego Abatantuono) diLol 4 – Chi ride è fuori,al via su Prime video il primo aprile. Attore, imitatore, conduttore, giudice aTale e quale,una vita che non gli ha risparmiato grandi dolori, a 63 anni si è messo in gioco.
Esibirsi mentre gli altri non devono ridere che effetto fa?
«Nino Frassica, la scorsa edizione, ha detto: “Sembra un manicomio senza infermieri”. In effetti è così. Hai quasi paura di perdere la dignità, pensi: la gente che dirà? A un certo punto io e Fedez abbiamo il salame in testa e cominciamo a prenderci a salamate.
Poi vedi il montaggio e vengono fuori cose esilaranti, le ragazze sono bravissime».
Cosa la fa ridere?
«Quello che non mi aspetto e che mi sorprende. Rocco Tanica è entrato con la riproduzione della sua testa, a testa in giù. Avevo in mano questo feticcio e facevo il ventriloquo».
La comicità è stata una rivincita?
«È stata una salvezza. Avere un po’ di arte e di talento mi ha aiutato a superare le difficoltà, mi ha indicato una strada da seguire. Ho conosciuto la fatica: studiavo e lavoravo, ho strigliato i cavalli al maneggio, ho fatto il cameriere, l’operaio nei cantieri navali.
Però facevo ridere».
Sua madre l’ha abbandonato, padre assente, è cresciuto coi nonni. Dove si trova la forza?
«Quando ti capitano queste cose, cresci più in fretta degli altri, è l’istinto della sopravvivenza, ho bypassato una parte della gioventù. Non c’erano la paghetta o i genitori che parlavano con gli insegnanti. Ho avuto l’amore dei nonni».
Che infanzia è stata?
«Difficile ma non infelice.
Non mi è mai mancato l’affetto, a casa mi sentivo accettato. Ovvio che mi è rimasto dentro il desiderio di famiglia. Ora con Claudia, la mia compagna, e i cani, me la sono costruita».
Nel 2020 ha raccontatonel libro “Io sono mio fratello” la storia di Franco, suo fratello cresciuto in collegio, ex tossicodipendente, morto nel 2011 a 50 anni.
«È stata un’autoanalisi, avevo un senso di colpa represso nei suoi confronti. Girava la voce che fosse morto di overdose, è morto di ipotermia. Si è sentito male e nessuno l’ha aiutato. C’era un vuoto nella mia vita, era l’ultima casella da riempire. Non abbiamo conosciuto i nostri genitori, avevamo un anno di differenza: io sono finito con i nonni, lui in collegio».
Gli amici storici
l’hanno aiutata?
«Fu Carlo (Conti) a dirmi che avevano trovato Franco senza vita. Una poliziotta conosceva un comico, Graziano Salvadori, che aveva fattoVernice fresca, e così seppe la notizia.
Mi chiamò alle 7 di mattina. Lui e Pieraccioni sono amici veri e ognuno ha il suo modo di tirarmi su. Chi conosce Leonardo lo sa, si muove solo per girare un film o promuoverlo. Ma ha preso la Smart ed è venuto in Versilia da solo, per i funerali. Non lo dimentico».
Coltiva la malinconia?
«Vorrei smentire che i comici sono tristi, siamo normali: questa, chiamiamola così, “escursione” tra normalità e ironia, dà l’idea che siamo depressi ma non è così. La verità è che il comico ricopre bene i ruoli drammatici perché ha sensibilità.
Totò si basa sulla miseria, la guerra, lafame, le famiglie disastrate: ogni comico – da Verdone a Pieraccioni a Benigni – trova la sua ispirazione».
Si è sentito tradito dal cinema?
«C’è questa idea che se lavori con Neri Parenti, Pieraccioni o fai i film di Natale, non puoi interpretare altre storie e se fai troppa televisione non puoi fare un ruolo drammatico. C’è una specie di razzismo artistico difficile da sradicare, a certi registi non vengo in mente. Magari li incontro alle cene: “Ti ho visto a teatro, bravo”, però non mi chiamano. Farò più fatica ma ho pazienza. Spero mi succeda com’è successo a Diego (Abatantuono) conRegalo di Natale, sono sicuro che anch’io avrò la mia occasione.
Intanto un ruolo drammatico ce l’ho avuto grazie a Mimmo Calopresti inUno per tutti».
Come si trova nel ruolo di giudice
a “Tale e quale”?
«Mi diverte molto. Se aLolavevo quasi timore di improvvisare, perché non sono sfrontato, con Carlo dico quello che penso. Non voglio sapere niente: le battute mi vengono al momento».
Il suo Festival di Sanremo nel 2006 fu criticato. Ci pensa mai?
«Sanremo non è il mio posto. Ci vuole pelo sullo stomaco e sangue freddo.
Io mi agito. Pensiamo che Amadeus sia quello diAffari tuoi, ma ha fatto i Festivalbar, anni di dirette, la radio.
Come Carlo Conti ha sempre la situazione sotto controllo. Quando Carlo faceva Sanremo gli mandavo i messaggi, credevo che rispondesse nei blocchi pubblicitari. No, rispondeva mentre cantavano gli artisti. Lui, Ama, e tutti i conduttori bravi hanno il controllo di loro stessi, io non dormivo la notte. Ti svegli, la mattina dopo vai in conferenza stampa e ti dicono le peggio cose.
Non vedevo l’ora che arrivasse domenica. Mi hanno massacrato ma ci sono stati festival peggiori».
Che idea si è fatto di Sanremo?
«Che dopo un grande successo si deve cambiare tutto. Si dovrà fare così dopo Amadeus, ed è capitato con me, che arrivavo dopo gli ascolti fantastici di Bonolis. Ero il Panariello reduce da Torno sabato buttato all’Ariston. Con i pochi cantanti che c’erano abbiamo fatto quello che abbiamo potuto. Però da noi Travolta ha fatto una figura migliore».
Cosa ha fatto negli ultimi tempi?
«Ho girato con Pier Paolo Paganelli un film delizioso, magico, Incantocon Vittoria Puccini che fa la cattiva e Greg fantastico, è una storia molto bella in cui il male è rappresentato dall’orfanotrofio. Poi un giorno arriva il circo, io faccio il clown bianco.
Sogno una bella commedia musicale, per ridere sull’eterno contrasto tra i giovani e i boomer, e ascoltare buona musica. Vorrei collaborare con Giuliano Sangiorgi e Tommaso Paradiso».