Corriere della Sera, 31 marzo 2024
Chi sono i nuovi Casalesi
E ora, dopo il pentimento di uno dei suoi due sovrani, cosa resta del clan dei Casalesi, di uno dei gruppi criminali più forti del mondo occidentale?
Difficile dirlo, «ora il vertice del clan è composto da imprenditori», aveva dichiarato mesi fa Antonello Ardituro, per anni giudice impegnato in Dda proprio contro i Casalesi e ora al Csm. E aveva continuato: «Questo rende tutto più complicato per gli inquirenti, perché i nuovi capi non si comportano intimidendo e ordinando omicidi, si sporcano meno con il crimine più visibile». Ecco lo snodo cruciale: il clan dei Casalesi è riuscito nella trasformazione totale di diventare solo un cartello imprenditoriale senza segmento militare? Se fosse così smetterebbe di essere una mafia, la struttura mafiosa per sua necessità si fonda su un segmento militare e illegale che alimenta e protegge il segmento legale; non può esistere una mafia senza violenza e senza traffici. La linea del clan potrebbe essere, invece, di rinunciare al controllo territoriale e militare, appagarsi dei soldi accumulati e pentirsi per svelare esclusivamente il passato militare, tenere fuori le zone grigie, e così proteggere il nuovo corso economico. C’è da sperare che gli inquirenti impediscano questa strategia.
Miliardi stoccati
Purtroppo ad oggi, dalle dichiarazioni di Antonio Iovine o Ninno e dei familiari di Sandokan non abbiamo ottenuto nulla di nuovo e il sospetto che ci sia una strategia di scambio spaventa: «Ci arrendiamo come militari e criminali, abbandoniamo il controllo del territorio, ma lasciateci proseguire come imprenditori e non toccateci i soldi». Questa strategia potrebbe essere la nuova avanguardia delle vecchie famiglie che si accontenterebbero dei miliardi di euro stoccati rinunciando al controllo territoriale e dando in cambio solo qualche auto di lusso e qualche villa.
Perché allora non l’hanno fatto prima questo scambio con lo Stato? Semplice: i rivali non l’avrebbero permesso; nessun camorrista può fermarsi senza arrendersi e nessuno può arrendersi senza morire. Chi ha ottenuto dominio è condannato a difenderlo per sempre. O meglio, sino a quando qualcuno non lo sostituisce e ne eredita soldi e potere. Ma in questo caso potrebbe esserci un’eccezione, tutto il gruppo camorristico collassa e il nuovo alleato diventa lo Stato. Quest’ultimo ha una sola possibilità per non stare al gioco dei boss: pretendere una conoscenza totale dei flussi economici del clan. Ad oggi non sempre è andata così. Circa la trasformazione esclusivamente imprenditoriale del gruppo, dall’inchiesta della Dda «Il principe e la ballerina» del 2011 emersero al di là dei risultati giudiziari due elementi importantissimi. Il primo: durante la negoziazione tra un imprenditore e una importante banca per ottenere un fido bancario per costruire un gigantesco centro commerciale, la banca non si fidava dell’imprenditore perché aveva certezza che non fosse un camorrista. Sì, proprio cosi. È emerso nell’inchiesta che il dirigente della banca voleva avere certezza (e lo fece chiedendolo ad un politico) che l’imprenditore fosse davvero un camorrista (cosa che non gli sembrava) e quindi meritevole del prestito. I clan chiedono prestiti alle banche solo per riciclare, ma dispongono dell’intera somma, quindi le banche sono al sicuro quando finanziano imprese emanazione dei clan perché sanno che tutto il debito verrà presto saldato e non c’è pericolo di fallimento. Il secondo elemento è la valutazione con una cifra in euro per vincere le elezioni: con circa 200 mila euro in Italia si comprano 20 mila voti. Sandokan Schiavone ha fortemente voluto che l’organizzazione fosse in grado di stare sempre in equilibrio tra un controllo militare assoluto e una iniziativa imprenditoriale costante. Uccidere chiunque non rispettasse il volere del clan, sostenere economicamente qualsiasi imprenditore vicino all’organizzazione, investire in tutti i settori commerciali possibili per creare reti di prossimità e sostegno: comprare magazzini, pompe di benzina, camion, e poi avere agenti di commercio. Questo significava che un prodotto affidato a loro otteneva sconti sui magazzini, sui trasporti, e quindi poteva essere venduto a un prezzo di sconto maggiore rispetto a chi non si affidava alla protezione della camorra. La politica arriva ad essere condizionata dall’economia, nessuno deve potercela fare senza di loro e il sistema sanitario diventa uno spazio da conquistare sia dal basso (mense, autoambulanze, lavanderie) sia dall’alto (primari, presidenti Asl, dirigenti).
Nuvoletta e «Menelik»
Sandokan racconterà del ruolo del clan dei Casalesi nella caduta del governo Prodi nel 2008? Del ruolo centrale sullo sfondo delle nomine all’ospedale di Caserta? Racconterà della sorte del povero Salvatore Nuvoletta? Ammetterà d’esser stato l’ultimo degli infami ad aver fatto ammazzare un ragazzo innocente? In un conflitto a fuoco, i carabinieri colpiscono a morte Mario Schiavone «Menelik», prediletto nipote di Sandokan che fa partire un’indagine tra sbirri corrotti e confidenti per capire chi sia il responsabile. Loro, per allontanare sospetti da sé o dai colleghi, vendono Sasà Nuvoletta mentendo, dicendo che aveva sparato lui a Menelik. Il clan dei Casalesi ottiene che un commando guidato da Antonio Abbate lo ammazzi, era il 1982. Un dettaglio: la madre di Menelik Schiavone vuole che il carabiniere sia ucciso davanti gli occhi dei suoi genitori, così i killer lo seguono mentre Salvatore è al negozio da sua madre a Marano. È luglio, Salvatore ha in braccio un bambino di 9 anni quando si sente chiamare: capisce, scaraventa lontano il bambino prima che scarichino su di lui 20 colpi. Muore sul colpo. Non era nemmeno presente il giorno dell’arresto di Menelik.