Corriere della Sera, 31 marzo 2024
L’inganno nel voto europeo
Il più grande inganno che si possa fare, non solo agli elettori del proprio partito ma all’intero Paese, è candidare al Parlamento europeo la persona sbagliata, facendole peraltro un torto. Magari prenderà un sacco di voti perché ha scritto un libro di successo. Sarà votata perché i suoi diritti non sono stati tutelati in un Paese membro dell’Unione. Intento lodevole, soluzione erronea. O, semplicemente, perché si spera di tradurre in consensi la notorietà del candidato, nonostante questa sia stata costruita in discipline apparentemente lontane dalla politica come lo spettacolo o lo sport. Anche se il candidato non conosce le lingue ed è a digiuno di questioni internazionali. Non importa se poi l’eletto – come è accaduto troppe volte in passato – andrà raramente a Strasburgo. Non si occuperà delle materie da cui dipende il futuro delle prossime generazioni perché avrà altro da fare. Conta il simbolo, la sua capacità di attrarre voti. E poi ci sono i leader che si metteranno in lista per fare solo da lepri al proprio partito, per misurare il potere personale. O le seconde e le terze file da tempo in attesa di un risarcimento per incarichi non ottenuti nel governo e nelle istituzioni. Sia chiaro: è assolutamente positivo che si coinvolgano esponenti della società civile quando questi si impegnano a investire il proprio sapere e la propria professionalità al servizio del Paese, assicurando però continuità e presenza (per cinque anni).A ltrimenti, il seggio al Parlamento europeo arricchisce solo il curriculum personale. O è vissuto come un riconoscimento alla carriera, per «chiara fama». Conta però la loro competenza o il gradimento presso le correnti del partito che li candida? Se aggiungono poi autorevolezza in alcune materie non necessariamente devono essere del tutto aderenti alla linea del partito che li mette in lista.
Assistiamo a una campagna elettorale nella quale la preoccupazione maggiore è la verifica dei rapporti di forza tra i vari partiti, all’interno della maggioranza e fra le opposizioni. Le grandi tematiche che riguardano il nostro futuro restano sullo sfondo. Indistinte. Vi è poi una questione delicata. Gli europarlamentari italiani devono muoversi nelle istituzioni europee come una squadra. Ovvero, come si dice in gergo, «fare sistema». Al pari di ciò che accade per altri Paesi che fanno pesare i loro interessi nazionali al di là dell’appartenenza degli eletti a famiglie politiche europee diverse o contrapposte. Gli eletti sono pochi, le responsabilità e gli incarichi molteplici. Bastano poche persone impreparate o semplicemente assenti per arrecare all’intero Paese danni irreparabili. L’Europa non è il secondo tempo di una battaglia politica interna come lascerebbero supporre il tono e gli argomenti di questa ormai lunga e scalcinata campagna. È la partita più importante, decisiva, specialmente nella prossima legislatura che si occuperà di temi di estrema delicatezza: dalle scelte per la transizione energetica alla difesa comune, all’allargamento del mercato unico, alla disciplina dell’intelligenza artificiale.
C ome è scritto in un saggio di rara efficacia, Il Parlamento europeo, di Claudio Martinelli (Il Mulino), l’Italia ha costantemente sottovalutato l’importanza politica dell’assemblea comunitaria, pur avendola autorevolmente presieduta. Ha vissuto le tornate elettorali come fossero elezioni di midterm, verifiche delle Politiche (in questo in buona compagnia, succede anche all’estero). Oppure occasioni di suffragi «in libera uscita», come nella Prima Repubblica (quando il Partito comunista sorpassò la Democrazia cristiana). Tanto si vota per l’Europa, cioè conta meno. I sistemi elettorali sono diversi, con differenti soglie di sbarramento seppur inferiori al 5 per cento (da noi è al 4). E così i limiti di elettorato passivo e attivo (l’Italia è il Paese che dà meno diritti politici ai giovani, si vota a 18 anni e bisogna averne 25 per entrare in lista). Non tutti i Paesi hanno le preferenze come noi. L’ampiezza dei collegi costringe, di conseguenza, a cercare candidati famosi. Altrove vi sono liste bloccate. In quattro Paesi (Belgio, Bulgaria, Lussemburgo e Grecia) il voto è addirittura, anche se formalmente, obbligatorio. In alcuni casi si realizza addirittura una staffetta tra gli uscenti e i candidati entranti, in modo che questi ultimi possano studiare anzitempo dossier complessi e far tesoro dei consigli dei deputati più esperti e influenti. L’Italia per fortuna ne ha. A destra come a sinistra. Apprezzati. Il ricambio è ovviamente necessario, come doverosa la trasmissione di conoscenze, tra uscenti ed entranti. L’esperienza è preziosa. Sacrificarla per giochi ed equilibri in terni e provinciali, un autentico peccato.
Ps. Astenersi eurodeputati clown e saltimbanchi. Abbiamo già dato. E non è stato un bello spettacolo. Ne ha perso l’immagine del Paese, non solo del partito (in questo caso la Lega) che dovrebbe riconoscere di aver candidato la persona sbagliata.