Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  marzo 30 Sabato calendario

Intervista al rapper Rhove

«Dare luce a tutti e non solo a me» è il motivo per cui Rhove usa spesso il plurale, raccontando la genesi del suo primo album «Popolari». «Tutti» cioè i ragazzi cresciuti in provincia, in situazioni non agiate, come lui che ha impiantato la sua Rho nel nome d’arte, abbreviazione di Samuel Roveda. Due anni fa, appena ventenne, Rhove è esploso con la hit «Shakerando»: sei dischi di platino e un’ascesa stellare che si è portata dietro anche un codazzo di polemiche per alcuni comportamenti non molto nobili, come insultare il pubblico che, a suo dire, non saltava abbastanza. Ma, contrariamente alle attese, lui si presenta alle sue primissime interviste cresciuto e ravveduto, interessato a costruire più che a ostentare.
«Popolari» è un po’ la parola chiave di tutto, giusto?
«Rappresenta noi che siamo diventati popolari, arrivando dalle case popolari».
Chi c’è in questo «noi»?
«Io, i miei amici e chi ci ha creduto. Ragazzi che non avevano molti soldi e che ora hanno una luce addosso. Mi piace portare tutti con me».
Come è cresciuto a Rho?
«Ho avuto un’infanzia non agiata, ma neanche nella disgrazia. Preferivo frequentare gente che aveva meno possibilità, mi sembravano più in linea con i miei pensieri».
La musica dove parte?
«Ho ascoltato tanto rap francese, a partire da Keny Arkana, ma sentivo anche metal. Ho iniziato a fare freestyle in piazzetta con gli amici, ci siamo montati uno studio e abbiamo avuto un mini-riscontro nel quartiere».
Andava a scuola?
«Studiavo alla scuola professionale di idraulica, ma volevo finire al più presto per dedicarmi alla musica. Già dalle seconda superiore non credevo in niente altro. Non lo facevo per soldi o per diventare famoso, ma per divertirmi, sfogarmi, trovare una comunità in cui stare».
La trap e la sua generazione di artisti sono spesso sotto accusa. Come mai?
«La gente è più affascinata dalle cose negative che da quelle positive, preferisce criticare che premiare».
Alcuni testi non sono maschilisti o diseducativi?
«Magari a volte è anche vero. Ma io cerco di dire meno parolacce possibili, di dare un buon esempio. E le donne le tratto bene».
Qualche «putt...» c’è anche nei suoi testi.
«Quello è il gergo, è il bitch che ogni tanto si intrufola».
C’è anche una certa critica alle forze dell’ordine, alla «police», come la chiama.
Nei miei brani cerco di dire meno parolacce possibili, di dare un buon esempio
E le donne le tratto bene
Le droghe?
Sono sempre stato contro
«Io do voce ai ragazzi della mia zona e tanti sono contro la polizia. Racconto la loro visione, magari anche io una volta la pensavo così, mentre ora sono più indifferente».
Vive ancora a Rho?
«Sì, ho preso un paio di case e sto facendo lì i miei investimenti. Vorrei portare positività, fare nuove iniziative per i ragazzi, sicuramente legate allo sport che amo un sacco e che allontana i ragazzi dalle droghe che invece odio».
Ne ha viste girare?
«Purtroppo sì e sono sempre stato contro. Ero quello della compagnia che cercava di convincere la gente a non fare cose cattive».
Parla di messaggi costruttivi, ma gli insulti al pubblico di due anni fa?
«Penso che ogni errore serva a maturare. Nel momento in cui stavo crescendo, da ragazzino a ragazzo cosciente, la mia musica stava iniziando a funzionare. Quel periodo non è stato facilissimo e infatti ho fatto molti errori. Per uno che fino al giorno prima doveva diventare idraulico, è stato un bel colpo».
L’avevano criticata anche i Pinguini Tattici Nucleari.
«Sì, e dopo quell’episodio sono diventati degli amici. Grazie anche a quegli avvenimenti ho iniziato ad affacciarmi a un lato spirituale. Faccio tanto sport e dopo l’adrenalina mi piace meditare».
Nei suoi testi compare anche Dio. È credente?
«Credo nelle energie e nel karma. Anche in Dio, ma poi ognuno lo chiama come preferisce. Vado in chiesa quando è vuota e non c’è nessuno».
Un’altra critica che viene mossa ai trapper è l’abuso dell’autotune.
«Infatti io mi sono messo a studiare e ho fatto un sacco di lezioni di canto. Sto preparando il mio primo vero tour e voglio creare un bello show».
Nel suo disco ci sono tante suggestioni internazionali. Da dove arrivano?
«Le parole francesi fanno parte della mia scrittura e poi mi sono affacciato alla cultura africana, con ritmi che secondo me sono destinati a crescere anche in Italia».
A Sanremo ci pensa?
«Sì, mi piacerebbe in futuro, quando sarò più maturo».