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 2024  marzo 30 Sabato calendario

Intervista al nipote di Einaudi

Sul suo terrazzo rigoglioso di piante e ricordi affacciati su Roma, la città che ama, Roberto Einaudi, architetto riconosciuto nel mondo, racconta alcune pagine della sua famiglia, in particolare del nonno Luigi, Presidente della Repubblica dal 1948 al 1955.
Cosa significa essere un Einaudi?
«Da giovane mi chiedevano se fossi imparentato con Luigi Einaudi, il Presidente, anni dopo, mi chiedevano di Giulio, l’editore. Ora che la maggioranza delle persone li ha dimenticati, mi chiedono se sia legato a Ludovico, il compositore, mio cugino».
Com’erano i nonni Einaudi?
«Ida si occupava di noi ragazzi, mentre il nonno era concentrato sulla scrittura e la lettura. Però, finito il lavoro, il nonno veniva subito a parlare con noi. Mia cugina Roberta racconta che lui, tornando dalla Banca d’Italia, di cui era governatore, malgrado la stanchezza, iniziava a giocare con loro, si nascondeva dietro le porte, si fingeva un lupo».
Qual è il luogo di cui ha più ricordi?
«San Giacomo, in Dogliani, Piemonte, la casa più bella e accogliente. Mio nonno la acquistò nel 1897 e negli anni la restaurò. C’era la sua biblioteca, magnifica, dove si ritirava a lavorare. Ogni tanto avevamo il permesso di andare a vederlo. Quando eravamo in tanti si metteva un lettino lì e si dormiva circondati da libri. Il nonno amava passeggiare con noi nel bosco vicino».
Come mai lei è nato in America?
«Mio padre Mario è emigrato nel 1933 per evitare di giurare fedeltà al partito fascista. Allora insegnava all’Università di Messina. Ha insegnato a Harvard, a New York, infine alla Cornell. Da bambini dall’America ci scambiavamo lettere in italiano con i nonni. Lui scriveva più a lungo a Luigino, suo primo nipote, dando consigli per il futuro, fondamentali per avviare il suo lavoro nella diplomazia americana. Io ho fatto l’università a Cornell, un anno a La Sapienza di Roma quando abitavo insieme ai nonni, prima di prendere il MArch al Mit di Boston e ritornare stabilmente in Italia».
E il nonno?
«Durante il fascismo anche il nonno voleva evitare di giurare, ma è stato persuaso a farlo da Benedetto Croce. Gli disse che se avesse rifiutato avrebbe lasciato il suo posto a un fascista, costringendo i giovani a imparare da una persona non libera. Croce gli consigliò di fare uno spergiuro mentale al momento del giuramento».
Vi raccontava della guerra?
«Alcune bombe avevano colpito il cortile della casa dei nonni a Torino, incendiandola in parte e distruggendo qualche libro. Per evitare ulteriori danni spostarono la biblioteca in campagna a San Giacomo. Quando giocavamo nel cortile trovavamo proiettili, bombe inesplose. Per andare a San Giacomo c’erano ponti rotti, si doveva guadare il fiume in auto. In montagna, con il nonno, malgrado la sua gamba malmessa, andavamo a piedi lungo il percorso che lui e Ida avevano fatto pochi anni prima per andare in Svizzera, tramite il col Fenêtre a quasi 3.000 metri, in mezzo a una bufera di neve, con i fascisti e i nazisti alle calcagna».
Com’era in famiglia?
«Amava moltissimo noi nipoti. In montagna, a By, la sera lui e la nonna ci chiedevano di cantare. Noi fratelli cantavamo a lungo le canzoni imparate in America. Ci ha insegnato “La montanara, ohè! si sente cantare” e “Su pei monti, su pei monti”. Ovunque ci trovassimo era vietato disturbare il nonno quando lavorava. Durante il pranzo, il tè e la cena si era liberi di parlare».
E quando Einaudi diventa presidente?
«Nonna Ida ha pianto, si aspettava di vivere gli ultimi anni tranquilla, a San Giacomo, con i nipoti. Poi però ha seguito il nonno, dando un apporto fondamentale al suo lavoro di Presidente. Alla sua elezione noi eravamo negli Stati Uniti. L’anno dopo, allo sbarco della nave a Napoli siamo stati accolti da una banda musicale anziché dalla dogana. Abbiamo abitato al Quirinale qualche volta. Era un posto magnifico, si giocava nei giardini. Andavamo insieme anche alla spiaggia di Castel Porziano, poi a Caprarola, nella Casina Farnese dove i nonni facevano restaurare le fontane distrutte».
Cosa direbbe suo nonno dell’Europa?
«L’Europa di oggi è mille volte meglio di quella di una volta. Ci sono debolezze, ma facciamo parte di un sistema libero e collegiale. Come diceva Luigi Einaudi, l’economia non deve regolare ogni cosa, ci deve essere prima di tutto un senso di appartenenza. L’Europa unita, nata dopo due guerre micidiali, è fondamentale. Se l’Europa esiste lo dobbiamo anche a Luigi Einaudi, i cui primi articoli sul tema risalgono al 1898».
Suo nonno aveva una visione interessante della funzione delle opere pubbliche...
«Il passato, diceva, ci aiuta a comprendere il presente e il futuro. Oggi c’è l’intelligenza artificiale, utilissima, ma non dobbiamo lasciar dire a lei cosa sarà il nostro futuro: siamo noi che dobbiamo pensare. Tornando al nonno, a Ravenna si era progettato un aeroporto accanto alla basilica di Sant’Apollinare in Classe. E lui, già Presidente, riuscì a bloccare il progetto. A Caprarola riuscì a fare restaurare il grandioso palazzo Farnese».
Siete una famiglia unita?
«Sì, e c’è una storia affascinante su zio Roberto, per il quale ho progettato la prima cantina dei vini di Luigi Einaudi. Il nonno aveva comprato un terreno a Barolo. Poco dopo lì era andato in vendita il vigneto del Cannubi, il più importante di tutti. Aveva fatto un’offerta che era stata accettata. Quando però il venditore ha saputo che il nonno era governatore della Banca d’Italia ha alzato il prezzo. Allora il nonno non l’ha più preso. Cinquant’anni dopo lo zio Roberto ha visto che era in vendita lo stesso appezzamento e lo ha comprato».
C’è mai stata invidia tra gli Einaudi?
«No. Ha visto la terrazza? La pianta più bella e più grande mi è stata regalata da nonna Ida. C’è un bel portacenere in marmo verde, regalo di zio Giulio. Alcuni degli alberi mi sono stati donati da zio Roberto. Pensi poi che il 19 dicembre Luigi e Ida si sposarono. Quando lo zio Roberto si sposò, scelse lo stesso giorno. Così anche Karin e io ci siamo sposati il 19 dicembre alla presenza di tutti e tre i fratelli, del nonno e di nonna Ida».
E zio Giulio?
«Veniva spesso qui, anche con mia cugina Ida, la sua primogenita. Sistemai un piccolo appartamento per lui qui a Roma, gli restaurai il casolare “Il Melo”, dove abitava vicino a San Giacomo. Mi chiese: “Quanto devo pagarti?”. “Pagami solo in libri”, gli dissi. Amava moltissimo occuparsi del giardino e delle piante».
Ha conosciuto suoi autori?
«Sì, ad esempio Natalia Ginzburg e Italo Calvino. Nel Barone rampante, Italo illustra le piante, Cosimo che si trasferiva da un albero all’altro. Ho tentato anch’io di andare di albero in albero, riuscendo solo tra due olivi molto vicini, ma se no era impossibile, ed ero giovane. Qui a Roma Calvino aveva una bellissima casa con una terrazza con una voliera. Amavo i suoi scritti, avevo anche iniziato a fare dei disegni sul Barone rampante».
Vi vedete con Ludovico?
«Lui è l’ultimo figlio di Giulio. Ci vediamo spesso a San Giacomo dove vive al “Melo”, quando non è in tournée. Karin lo ricorda da bambino che portava la chitarra, a Bocca di Magra, dove andava d’estate».
Come state celebrando i 150 anni dalla nascita del nonno?
«Tra le molte iniziative un concerto di Ludovico ed eventi a Caprarola, dove si programma l’apertura di un museo su Luigi Einaudi e l’ambiente, alla Fondazione Luigi Einaudi di Torino, alla Banca d’Italia e non solo».
Sta preparando un lavoro per Keats and Shelley House, a Roma. Cosa?
«Nel 2024 ricorre il bicentenario dalla morte di Byron. Nella mostra al KSH a Roma che si inaugurerà il 19 Aprile ci saranno alcuni miei disegni ispirati a Byron e alla sua poesia Childe Harold’s Pilgrimage, dove racconta un viaggio a Roma».