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 2024  marzo 30 Sabato calendario

Chissà se Schiavone dirà tutto

Era il 1998, a nessuno sembrò una fine ma solo un avvicendamento di potere. E infatti fu così che rimase re, anche in carcere in questi quasi tre decenni. Re fino ad oggi. Ventisei anni sono passati da quel giorno. Perché solo ora decide di parlare? La risposta è una. Schiavone è vicino a scontare la totalità della pena ma sa che, se non si pente, non uscirà mai. Si trova a un bivio, conservare la propria leadership mantenendo il silenzio o perderla per sempre parlando.
La scelta
Decidendo di collaborare con la giustizia ha fatto la sua scelta: non è più il capo. Ma è bene averlo chiaro, non significa affatto che davvero rivelerà ciò che vogliamo sapere. Prima di lui, al pentimento è arrivato il suo primogenito Nicola, che porta il nome di suo nonno e che avrebbe dovuto ereditare il potere di Sandokan (senza riuscirci). Ad oggi le sue rivelazioni non sembrano così determinanti. Stessa cosa per la moglie, Giuseppina Nappa, e per l’altro figlio Walter.
Il pericolo più grande è che le organizzazioni abbiano capito che lo Stato voglia comunicare il pentimento di un boss, come un’immediata vittoria; ma che poi, quel poco che loro dicono non importi.
Inascoltati
Da quando sono nato, il suo nome ha accompagnato la mia vita. Ora che si pente ne ho quasi rabbia perché, per 20 anni, quando in pochi provavamo a raccontare il suo potere venivamo sminuiti. Quando denunciavamo le sue alleanze politiche venivamo considerati ideologici. Quando mappavamo e descrivevamo l’economia condizionata, venivamo considerati esagerati.
E ora che è pronto alla resa, a nessuno verrà concesso l’onore di aver bruciato la propria esistenza nell’inseguire il potere di una delle figure più pericolose e determinanti del crimine del nostro continente.
Le origini
Sapete davvero chi era Sandokan? Vale la pena raccontare come divenne re. Il giovane Schiavone cresce all’ombra del più carismatico dei capi, don Antonio Bardellino, l’uomo che vince la guerra di camorra più feroce della storia (quella tra «NCO», Nuova Camorra Organizzata e nuova famiglia). Bardellino è un capo inarrivabile per carisma e capacità organizzative. Schiavone gli è accanto, lo serve e lo osserva. Il rapporto tra loro è quello tra un allievo che ama il maestro e un maestro che ha tanti, troppi allievi da amare. Sandokan vorrebbe essere il prediletto, ma non lo è. L’uomo più vicino a don Antonio a Casal di Principe è Marittiello Iovine. E qui nasce una delle strategie subdole e meglio riuscite dei complotti criminali. Sandokan si reca insieme ad altri da don Antonio e gli dice che il fratello di Marittiello, Mimì, è «casermiere», ossia uno che troppo spesso parla con i carabinieri.
Bardellino è molto inquietato, ma prende tempo. Poi vanno da Mario Iovine e gli dicono che don Antonio è convinto che suo fratello Mimì vada in giro per caserme a dare informazioni. Secondo alcuni collaboratori di giustizia, per esempio il pentito Galasso, sembra che Antonio Bardellino e Mario Iovine si siano parlati e Iovine avesse accettato di assai cattivo grado di sacrificare il fratello Mimì per allontanare ogni sospetto di collaborazione tra la sua famiglia e gli sbirri. Domenico Iovine viene ammazzato mentre sta andando al lavoro.
Antonio Bardellino è già ritornato in Sud America. Sandokan presenta a Mario Iovine, una lista di persone interne alle forze dell’ordine che giurano che Mimì non ha mai firmato un verbale e non è mai stato confidente. Antonio Bardellino ha voluto in questo modo solo umiliare un suo possibile rivale dimostrando a tutti che se lui vuole può pretendere dai suoi figliocci di assassinare anche i loro fratelli. Mario Iovine è carico di rabbia, vola in Brasile per incontrare don Antonio e mentre sono in giardino gli sfonda il cranio a martellate.
Scomparsi
Questo è quello che dicono, perché il corpo di Antonio Bardellino non è mai stato trovato. Secondo la legge italiana, Bardellino viene ucciso in quell’occasione e questo è ciò che voleva Sandokan che proprio in quelle ore convoca l’erede di Bardellino, Paride Salzillo, in una masseria, dicendo che lo zio doveva parlare per telefono a tutto il clan.
Quando entrò in stanza Salzillo capisce che è un tranello e che è giunto il tempo della sua esecuzione. Si siede, e si lascia strangolare. Il nuovo capo del clan è Marittiello. Qui arriva un colpo di fortuna, quello che sempre aiuta il destino di un capo. Una fazione del clan, tenuta all’oscuro dell’esecuzione di Bardellino, vuole vendicare il capo e ammazza Mario Iovine a Cascais in Portogallo, dove si era spostato a vivere. È questo il momento per diventare re.
Cosa dirà?
Temo che sfrutti l’attuale debolezza del nostro Stato che non pone nessuna centralità al contrasto dell’economia mafiosa e quindi rivelerà soltanto omicidi e qualche appalto ma non svelerà il tesoro del clan, non svelerà le coperture politiche, non svelerà l’origine criminale di diversi noti imprenditori (editori, costruttori, finanzieri). Non so come finirà questa storia. Penso a quei pochi procuratori, politici e rari giornalisti che in questi anni si sono impegnati contro il clan. La mia più grande paura è che la loro possa sembrare una resa; mentre in realtà i clan stanno ancora vincendo, proteggendo i propri soldi. Le mafie sono l’economia vincente del nostro Paese: sembra che tutti se lo siano dimenticati.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
di Roberto Saviano
Avevo 19 anni, era pieno luglio, e calò un clima di paura e ansia a Casal di Principe e in tutta la provincia casertana. Il re del clan Francesco Schiavone era stato preso.
Era il 1998, a nessuno sembrò una fine ma solo un avvicendamento di potere. E infatti fu così che rimase re, anche in carcere in questi quasi tre decenni. Re fino ad oggi. Ventisei anni sono passati da quel giorno. Perché solo ora decide di parlare? La risposta è una. Schiavone è vicino a scontare la totalità della pena ma sa che, se non si pente, non uscirà mai. Si trova a un bivio, conservare la propria leadership mantenendo il silenzio o perderla per sempre parlando.
La scelta
Decidendo di collaborare con la giustizia ha fatto la sua scelta: non è più il capo. Ma è bene averlo chiaro, non significa affatto che davvero rivelerà ciò che vogliamo sapere. Prima di lui, al pentimento è arrivato il suo primogenito Nicola, che porta il nome di suo nonno e che avrebbe dovuto ereditare il potere di Sandokan (senza riuscirci). Ad oggi le sue rivelazioni non sembrano così determinanti. Stessa cosa per la moglie, Giuseppina Nappa, e per l’altro figlio Walter.
Il pericolo più grande è che le organizzazioni abbiano capito che lo Stato voglia comunicare il pentimento di un boss, come un’immediata vittoria; ma che poi, quel poco che loro dicono non importi.
Inascoltati
Da quando sono nato, il suo nome ha accompagnato la mia vita. Ora che si pente ne ho quasi rabbia perché, per 20 anni, quando in pochi provavamo a raccontare il suo potere venivamo sminuiti. Quando denunciavamo le sue alleanze politiche venivamo considerati ideologici. Quando mappavamo e descrivevamo l’economia condizionata, venivamo considerati esagerati.
E ora che è pronto alla resa, a nessuno verrà concesso l’onore di aver bruciato la propria esistenza nell’inseguire il potere di una delle figure più pericolose e determinanti del crimine del nostro continente.
Le origini
Sapete davvero chi era Sandokan? Vale la pena raccontare come divenne re. Il giovane Schiavone cresce all’ombra del più carismatico dei capi, don Antonio Bardellino, l’uomo che vince la guerra di camorra più feroce della storia (quella tra «NCO», Nuova Camorra Organizzata e nuova famiglia). Bardellino è un capo inarrivabile per carisma e capacità organizzative. Schiavone gli è accanto, lo serve e lo osserva. Il rapporto tra loro è quello tra un allievo che ama il maestro e un maestro che ha tanti, troppi allievi da amare. Sandokan vorrebbe essere il prediletto, ma non lo è. L’uomo più vicino a don Antonio a Casal di Principe è Marittiello Iovine. E qui nasce una delle strategie subdole e meglio riuscite dei complotti criminali. Sandokan si reca insieme ad altri da don Antonio e gli dice che il fratello di Marittiello, Mimì, è «casermiere», ossia uno che troppo spesso parla con i carabinieri.
Bardellino è molto inquietato, ma prende tempo. Poi vanno da Mario Iovine e gli dicono che don Antonio è convinto che suo fratello Mimì vada in giro per caserme a dare informazioni. Secondo alcuni collaboratori di giustizia, per esempio il pentito Galasso, sembra che Antonio Bardellino e Mario Iovine si siano parlati e Iovine avesse accettato di assai cattivo grado di sacrificare il fratello Mimì per allontanare ogni sospetto di collaborazione tra la sua famiglia e gli sbirri. Domenico Iovine viene ammazzato mentre sta andando al lavoro.
Antonio Bardellino è già ritornato in Sud America. Sandokan presenta a Mario Iovine, una lista di persone interne alle forze dell’ordine che giurano che Mimì non ha mai firmato un verbale e non è mai stato confidente. Antonio Bardellino ha voluto in questo modo solo umiliare un suo possibile rivale dimostrando a tutti che se lui vuole può pretendere dai suoi figliocci di assassinare anche i loro fratelli. Mario Iovine è carico di rabbia, vola in Brasile per incontrare don Antonio e mentre sono in giardino gli sfonda il cranio a martellate.
Scomparsi
Questo è quello che dicono, perché il corpo di Antonio Bardellino non è mai stato trovato. Secondo la legge italiana, Bardellino viene ucciso in quell’occasione e questo è ciò che voleva Sandokan che proprio in quelle ore convoca l’erede di Bardellino, Paride Salzillo, in una masseria, dicendo che lo zio doveva parlare per telefono a tutto il clan.
Quando entrò in stanza Salzillo capisce che è un tranello e che è giunto il tempo della sua esecuzione. Si siede, e si lascia strangolare. Il nuovo capo del clan è Marittiello. Qui arriva un colpo di fortuna, quello che sempre aiuta il destino di un capo. Una fazione del clan, tenuta all’oscuro dell’esecuzione di Bardellino, vuole vendicare il capo e ammazza Mario Iovine a Cascais in Portogallo, dove si era spostato a vivere. È questo il momento per diventare re.
Cosa dirà?
Temo che sfrutti l’attuale debolezza del nostro Stato che non pone nessuna centralità al contrasto dell’economia mafiosa e quindi rivelerà soltanto omicidi e qualche appalto ma non svelerà il tesoro del clan, non svelerà le coperture politiche, non svelerà l’origine criminale di diversi noti imprenditori (editori, costruttori, finanzieri). Non so come finirà questa storia. Penso a quei pochi procuratori, politici e rari giornalisti che in questi anni si sono impegnati contro il clan. La mia più grande paura è che la loro possa sembrare una resa; mentre in realtà i clan stanno ancora vincendo, proteggendo i propri soldi. Le mafie sono l’economia vincente del nostro Paese: sembra che tutti se lo siano dimenticati.