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 2024  marzo 30 Sabato calendario

Intervista ad Antonella Viola

Se oggi Antonella Viola è l’immunologa che tutti hanno visto in tv, è anche per la scelta fatta a 18 anni nella segreteria dell’università.
Una scelta che non si è mai saputa spiegare e che l’ha indirizzata verso la Biologia. Docente di Patologia generale a Padova e autrice di diversi saggi (l’ultimo èIl digiuno intermittente, Gribaudo), Viola si sente ancora una ragazzina e vive la sua popolarità quasi con fastidio.
Partiamo dall’attualità: ha fatto scalpore il suo gesto umanitario verso una famiglia in difficoltà.
«L’unico motivo per cui l’ho raccontato è che un’associazione ha cercato di attribuirsi il merito di aver aiutato una famiglia tunisina che non riusciva a trovare casa».
Com’è andata davvero?
«Ho letto sui giornali di una famiglia con due bambini che, nonostante il marito avesse un lavoro, viveva in strada nella mia città perché nessuno voleva affittare loro una casa. Ho una casa grande perché i miei figli se ne sono andati: ho contattato la famiglia spiegando che non avevo ancora un appartamento per loro, ma potevano condividere casa mia finché non avessimo trovato una soluzione migliore. Per un mese abbiamo convissuto inarmonia, mentre io giravo per le agenzie di Padova in cerca di un appartamento da comprare. L’ho trovato e ora ci vivono in affitto».
Quando ha iniziato ad accorgersi delle ingiustizie del mondo?
«Fin da bambina. Ricordo che anche da piccola stavo male se venivo a sapere di una persona in difficoltà, piangevo proprio. Ero rimasta molto colpita da immagini viste in tv sulla fame in Africa e con l’ingenuità dei bambini, prima di andare a dormire chiedevo a Dio di farmi morire se poteva servire a salvare una bambina africana. Anche crescendo questa difficoltà mi è rimasta: mi è capitato spesso di piangere davanti al tg o di dover uscire da un cinema».
È l’empatia ad averla indirizzata verso la medicina?
«No, l’empatia ha fatto sì che fossi sempre pronta a intervenire per difendere gli altri, già a scuola come capoclasse. E mi ha spinto a sviluppare l’interesse per la politica, anche se non mi sono mai iscritta a un partito. L’amore per la scienzaviene da un altro lato della mia personalità: la curiosità. Mia madre a 4 anni mi regalò una bambola che camminava da sola. Ma io la smontai subito perché volevo capire il meccanismo. La curiosità, da giovane, mi ha portato a commettere più di un’imprudenza».
Ad esempio?
«Andavo molto in giro. Facevo spesso l’autostop per andare al mare. Mi fidavo di tutti, anche troppo, oggi non farei più molte cose».
Ce ne dica una.
«D’estate a Castellaneta Marina, vicino a Taranto, con un’amica giravamo in motorino a tirare gavettoni. Non a perfetti sconosciuti, però».
Come descriverebbe l’Antonella Viola ragazzina?
«È facile, perché mi sento come allora: piena di voglia di v ivere e di passione per lo studio. Avevo però anche tanti amici, mi divertivo, andavo a ballare. Studiare miriusciva facile e ho avuto una vita piena di libri, ma tra le due cose non c’era conflitto».
Se viaggiando incontrasse quella ragazzina, cosa le direbbe?
«Di godersi un po’ di più il tempo: ho sempre avuto fretta di bruciare le tappe. Lo direi anche alla me stessa 30enne: “Ferma quei momenti belli volati via…”».
Chi le ha trasmesso la passione per lo studio?
«Papà era appassionato di letteratura e cinema, casa era piena di libri. Quando io e mia sorella eravamo bambine ci portava ai cineforum: una cosa che oggi pochi farebbero. Poi nella mia comitiva, da ragazza, c’erano diversi musicisti. Un paio sono diventati direttori d’orchestra e questo mi ha avvicinato anche alla musica, un’altra passione. Mio padre ripeteva: “La cultura è tutto”. Certo, diceva anche: “Non vi sposate, non fate figli, o non potrete avere una carriera e realizzarvi nel mondo della conoscenza!”. In questo spero di averlo smentito».
Come si conciliano carriera e famiglia?
«Servegrandeforzadivolontà,ma anchelecondizioniesterne,come esempioscegliereuncompagnochesia unverocompagnodiviaggioeche condividaal50%l’impegnodigestirela famiglia.Iopoisonoriuscitaafare quellochehofattoancheperchéimiei genitorimihannoseguitaaPadova,poi aMilanoedinuovoaPadovaper aiutarmicongrandegioiaacrescerei figli».
Tra i tanti, perché ha scelto proprio suo marito?
«Perché è stato da subito un complice, non una figura autoritaria o qualcuno che pretendesse qualcosa da me. Stiamo insieme da trent’anni, da quando io avevo 25 anni e lui 27. Ed è ancora, oltre che il mio compagno, il mio migliore amico».
C’è stato nella sua vita un momento “sliding doors”?
«La prof d’italiano, al liceo, diceva che scrivevo benissimo, così cullavo l’idea di studiare Lettere e diventare giornalista.
Ma anche il prof di Fisica mi diceva che ero portata. Così alla fine mi sono iscritta a Fisica. Ma l’ho frequentata solo per tre giorni. Ancora oggi non so spiegarmi cosa mi successe: ero triste, sentivo che non era la mia strada. Alla terza lezione, il malessere è diventato tale che sono dovuta uscire dall’aula, ho cominciato a camminare e sono arrivata in segreteria: “Mi sono già iscritta, ma ho sbagliato: vorrei cambiare”. La segretaria rispose: “Siamo ancora in tempo: a cosa vuole iscriversi?”. E io. lasciandola di stucco: “Non lo so! Facciamo biologia!”. È stata una decisione istintiva, non so da dove è venuta. La settimana dopo, frequentando le lezioni, la tristezza era sparita: era la scelta giusta».