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 2024  marzo 29 Venerdì calendario

Ma che avrà di miracoloso questo film?

BIELLA – Davanti al Cinema Mazzini, un giovedì sera, c’è una fila anomala. Prevalentemente donne, non giovani, vestite con sobrietà. Duecento persone, sala quasi piena. Va spesso così per Sound of Freedom – Il canto della libertà realizzato dai mormoni Angel Studios (tra i produttori anche della serie su Gesù, The Chosen). Adorato dall’ultradestra religiosa americana e dai fanatici di QAnon, le cui teorie del complotto immaginano i liberal come depravati, vampiri ai danni dell’infanzia.
Fortissimamente voluto, per una proiezione speciale nel suo circolo del golf, dall’allora presidente Trump.
Nonostante questo, o forse proprio per questo, con 250 milioni di dollari di incassi nel mondo (180 negli Usa) si classifica tra i film indipendenti di maggior successo di sempre.
Oltreoceano, questa "storia vera" di un poliziotto che salva bambini rapiti per essere usati come schiavi sessuali per pedofili, a un certo punto si piazza terza dopo Oppenheimer e Barbie. Il 19 febbraio, sua uscita italiana, da noi faceva giusto meno spettatori dell’assai lodato Past Lives per poi assestarsi, con 70 mila paganti, al trentesimo posto tra i titoli di quest’anno. La domanda, considerati «i cattivi caricaturali e una passione smodata per inquadrature dell’eroe che piange lacrime al contempo timorate di Dio e virili», come da recensione del Telegraph, è: perché tanto successo?
Qualche prima indicazione viene da alcune signore sedute nella fila dietro di me. «Meno male che i miei figli son già tutti grandi» dice una, sollevata.
«Bisogna comunque stare attenti» aggiunge un’altra. «Nel traffico d’organi la Russia va forte» chiosa una terza, fuori tema rispetto alla trama. Il Premio recensione sintetica va a una quarta che, davanti al fotogramma per cui «non ci sono mai stati così tanti minori schiavi. Anche più di quando la schiavitù era legale», sibila solo «mamma mia!». Che sarebbe il commento giusto se fosse un dato vero.
Per capirci qualcosa di più chiediamo a Federica Picchi Roncali, la quarantasettenne spezzina che con la sua Dominus Production distribuisce il film in Italia e che, sfidando l’anatema morettiano, stasera azzarda un doppio dibattito. Prima dell’inizio della proiezione parla della piaga dei «17 mila minori scomparsi ogni anno nel nostro Paese, 13 mila immigrati e 4 mila italiani», lasciando credere – alla luce della storia che scorrerà sullo schermo – che sian perlopiù rapiti o adescati online, ma non è così. Alla fine riassume la morale della pellicola in «ognuno di noi può fare la differenza». Lei ci prova «aumentando la consapevolezza su un tema di cui nessuno parla». O meglio, di cui prima nessuno parlava. Giacché il Tg5 l’ha invitata due volte, Famiglia Cristiana l’ha lodata, La Verità ne ha fatto un ritratto e, per colmo di censura, prima di uscire in sala il film era già stato presentato ad Atreju, la kermesse meloniana. E il 23 maggio approderà in Parlamento. A questa ospitata istituzionale, in cui si presenterà l’Intergruppo sui minori scomparsi, dovrebbero partecipare anche i ministri di Cultura e Interno.
Per intanto, tra i fan si segnalano la sottosegretaria di Piantedosi, Wanda Ferro, che fu tirata in ballo nel grottesco caso del finto matrimonio di Pamela Prati. E Ciro Maschio («L’ha visto e ha pianto tutto il tempo» ricorda Picchi) che per FdI è presidente della Commissione giustizia alla Camera, ma è noto alle cronache per una foto Instagram seminudo sulla neve e per aver accumulato 16 mila euro di multe non pagate.
Si chiama invece Eduardo Verástegui, il produttore di Sound of Freedom che Picchi cita spesso e che nel film fa il milionario buono che aiuta il poliziotto a mettere in piedi una trappola per i magnaccia: è un campione dell’ultradestra messicana, fieramente antiabortista, candidato alle ultime presidenziali su una piattaforma ad alto tasso di cattolicesimo integralista.
Ma torniamo alla produttrice italiana. Non la imbarazzache il protagonista del film, come il poliziotto che l’ha ispirato, sposino le più deliranti teorie del gruppo dello sciamano che il 6 gennaio 2021 diede l’assalto al Campidoglio a Washington? «Dico che una cosa è il film, altra ciò che succede al di fuori di esso. Io rispondo solo del film, del suo importante messaggio culturale».
E quanta parte del suo successo ha a che fare con il tam tam delle parrocchie, tipo il prete in sala che voleva organizzare un bis a Novara? «Purtroppo ormai le chiese sono vuote. Sono piuttosto semplici cittadini in cui il messaggio delle nostre storie vere risuona» e che, in gruppi WhatsApp ed evangelismo social, sostengono il film. Ma lei, politicamente, come si definisce? «Non mi faccio etichettare. Non mi interessano gli slogan ma le persone. Soprattutto i giovani». Sul sito del ministero dell’Interno però il suo curriculum include la qualifica di vice-responsabile del dipartimento Pari opportunità, Famiglia e Valori non negoziabili di Fratelli d’Italia. Quando glielo faccio notare nega e mi manda un altro cv in cui è stato tolto giusto questo dettaglio.
L’entusiasta Picchi, che ha il volto di Cristo come sfondo del telefonino («mi interessa come figura storica»), nega anche di fare solo film religiosi.
Eppure la sua seconda vita da distributrice, dopo essere stata banchiera d’affari di successo a Londra, ramo derivati per grandi opere nell’Africa sub-sahariana, inizia con Cristiada, sul martirio dei cattolici in Messico (film finanziato dai Cavalieri di Colombo, che si definiscono il «braccio destro forte della Chiesa» e hanno nello stemma una specie di fascio littorio). Prosegue con Unplanned, storia di una dipendente di una clinica abortista che diventa fervente pro-life. Fino al prossimo Cabrini, epopea sulla santa che fondò le Suore missionarie del Sacro Cuore, con Giancarlo Giannini tra i protagonisti. Vero che in Il canto della libertà Dio è nominato una volta sola ("I figli di Dio non sono in vendita") se non si calcola che il poliziotto-eroe si chiama Tim, abbreviazione di Timoteo ("colui che onora Dio") e che a san Timoteo è dedicata la medaglietta che avrebbe dovuto proteggere una delle ragazzine rapite. Ma l’agente cita anche Matteo 18:6 ("Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare") per annunciare l’arresto al pervertito Oshinsky. Ed è un caso che i cattivi più schifosi siano ebrei, come in questo caso, o latinos?
«Non l’avevo notato. Ma se fa attenzione ricorderà che il cliente che si chiude in camera con la ragazzina è americano». Di certo il protagonista Jim Caviezel, che recita nel ruolo del figlio di Dio anche in La passione di Cristo di Mel Gibson (peraltro, con oltre 600 milioni di dollari al botteghino, forse il vero film indipendente di maggior fortuna) ospite del podcast di Steve Bannon si è lamentato di esser stato crocifisso per aver menzionato il termine "adrenocromo", per cui una cabala di satanisti de’ sinistra rapirebbe i bambini per estrarre dal loro sangue una specie di elisir di lunga vita. Picchi chiarisce che il regista, Alejandro Monteverde, ha cominciato a scrivere il film nel 2015, due anni prima che QAnon nascesse online e cavalcasse la farneticante teoria, che però in circoli più ristretti circolava da decenni.
Alla fine, al di là del messaggio non originalissimo (i bambini sono indifesi e in giro c’è un sacco di gentaccia), dei dialoghi semplificati e della musica enfatica a sottolinearli, a fronte di una fotografia super-professionale, questa vicenda potrebbe dire più degli italiani come elettori che come spettatori.
L’America non è solo un altro Paese, dove 3-4 persone su 10 non credono nell’evoluzionismo, ma un altro pianeta. Però anche da noi l’affaire Bibbiano, inteso come la presunta vicenda di affidi illeciti gestita da amministratori del Pd, aveva infiammato l’immaginazione popolare. Salvo sfarinarsi in tribunale. Picchi, quando ricorda la sua lotta di piccola produttrice contro «giganti come Disney, che hanno milioni per la pubblicità», replica pari pari il racconto dell’underdog che ha giovato a Meloni. Arrabbiati, ognuno nella propria bolla, amiamo chi ci regala temibili Golia da combattere.
La buona notizia è che in questo caso la paura, con 530 mila euro d’incassi, fattura da noi la metà che in Francia e un sesto che in Spagna. E che, pur senza vincere, agli Oscar mandiamo la speranza di Io capitano.