Corriere della Sera, 27 marzo 2024
Intervista a Sabrina Impacciatore
Sabrina Impacciatore scoppia a piangere, poi ride, poi di nuovo in lacrime, così maledettamente sincera, senza filtri, divertente, stravagante, al punto che quando si mette a parlare di una sciamana incontrata in America ti sembra la cosa più normale che possa dire. Su Sky, la puntata più riuscita della seconda serie di Call my agent (la vita senza regole degli agenti di cinema al servizio no stop di esigenze e vanità dei loro umorali clienti), è quella con Sabrina, ormai mezza americana dopo il boom in The White Lotus. Nella sua puntata è attesa come madrina al Festival di Venezia.
Imbranata e esuberante, innocente e egocentrica, ricorda qualcuno...
«Sono io al 100 percento. Mi sono divertita ad immaginare quello che mi sarebbe potuto succedere e ho inventato delle gag: il fuso orario, gli inglesismi nel parlare quando si torna dagli Usa; li avevo sempre ritenuti un’ostentazione ridicola e invece ci si abitua e succedono davvero, anch’io ne sono vittima. Il direttore Alberto Barbera, a cui non riuscivo a dare del tu, nella scena mi accoglie in modo così naturale che non mi sembrava di recitare».
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Ma le piacerebbe fare la madrina?
«Preferirei andarci come giurata, o con un film. Nella serie come madrina, per un infortunio, mi tocca improvvisare il discorso sulle donne che ancora contano poco nel cinema e sui pari diritti. In quei giorni mi sentivo scorticata da una violenza sessuale terribile avvenuta a Palermo, quello stupratore diceva che la carne è carne. Una sciamana in USA mi ha detto che io sono nata nel paese più misogino perché avevo la missione di svegliarlo».
Continua a fare avanti e indietro con l’America?
«Sì, ho appena finito un thriller action di Patricia Riggen con Viola Davis, G 20, dove sono la presidente del Fondo monetario internazionale. Il mancato premio per The White Lotus? Ma sono stata la prima attrice italiana candidata agli Emmy, a 55 anni e non a 20, nel mezzo del cammin della mia vita, che è tutta strana. Il capo della mia agenzia in USA mi ha detto: ci farai fare un sacco di soldi. Mi sono sentita insostituibile, vogliono me e non un’altra. E ho gridato dentro di me: Yes!».
Nei film in Usa col Me Too c’è l’intimacy coordinator.
«All’inizio mi sembrava surreale e esagerato, invece benedico che ci sia. In White Lotus ho una scena saffica, mi hanno chiesto dove volevo essere toccata spiegandomi inquadratura dopo inquadratura. Figurati, venivo dall’Italia dove tanti colleghi mi mettevano le mani dappertutto, fuori set ne ho contati almeno quattro, e due con i professori a scuola. Confesso di aver sempre subìto in silenzio. Una volta però gli occhi mi si riempirono di lacrime e quello la smise».
Lei ha mai sedotto un uomo?
«No, sono old fashion. Non capisco le donne che si offendono se gli uomini ci provano, non voglio che si sentano inibiti, ma almeno aspettate di avere un piccolo segnale».
Stressa i suoi agenti h24?
«Sono la cliente ideale. Un soldato che risolve le cose da sola. Magari creo momenti thriller che diventano compagni di viaggio. Agli Emmy mi si ruppe lo shoe strap, il cinturino delle scarpe, non potevo camminare, con dello scotch nero l’ho rifatto identico. Al Festival di Sanremo del 2018, con Claudio Baglioni, avevo un bustier strettissimo, esco dal camerino affollato di parrucchieri e truccatori e dico: eccomi qua! In quel momento mi si apre il vestito. Urlo. Mi chiamano che devo affrettarmi. In auto la sarta mi rassicura, giuro che ti mando in onda ricucita. Sul palco ero talmente concentrata sul bustier che cado dalle scale».
Ma un fim a Venezia...
«Mi sento grata di quello che sto vivendo, non mi manca, arriverà, e così il debutto da regista. Ho avuto momenti bui come attrice. Un giorno dissi all’ufficio stampa che doveva chiamarti per darti un’intervista plateale in cui annunciavo il mio ritiro. Il cinema italiano non mi prendeva sul serio, ero invisibile».
Ora recita con Viola Davis.
«In Sudafrica per il film G 20 ero l’unica bianca in un set di neri. Mi sentivo nera anch’io, mi guardavo le mani e trovavo strano che fossero bianche. In una chiesa evangelica ho cominciato a cantare i gospel e Alleluja con loro, insieme col trainer di pugilato (sperimento pure questo). Ora che sono in Italia mi mancano i neri. Vivo in una realtà parallela. Io non sono un’attrice: io vivo da attrice. Nella realtà ci voglio stare il meno possibile».
Nella puntata scherza sull’altezza.
«Da ragazza ero complessata. Amo fisicamente vedermi con i tacchi tra i 12 e i 15 centimetri, se non li metto mi sento vulnerabile. Però a casa vado scalza o indosso ballerine con paillettes rosse».