Corriere della Sera, 27 marzo 2024
Intervista a Fred De Palma
King del reggaeton e ultimo a Sanremo. O re o reietto. Apice o baratro. In cima o in fondo. Fred De Palma non riesce a vivere nelle vie di mezzo.
In «Adrenalina» parla della sua dipendenza dal gioco...
«Ex dipendenza».
Come ne è uscito?
Scherza. «Come diceva forse Vasco Rossi, non è che ho smesso, è che non ho ancora ricominciato».
Come ci è entrato?
«In generale penso che chi fa l’artista vive sempre nel rischio, in una scommessa continua, il tenore di vita cambia se azzecchi o no un pezzo. Credo che questo sia il motivo che mi ha sempre fatto vivere la vita scommettendo».
Tutto o niente?
«Il problema è che preferisco perdere completamente o vincere in maniera assoluta, la via di mezzo non mi dà emozioni. Io devo o vincere tutto o rovinare tutto. O primo in tutta Europa o ultimo a Sanremo, non metto neanche in conto il decimo posto. Credo che questo mio approccio “esistenziale” abbia influito sul gioco d’azzardo, perché è esattamente la trascrizione online del mio modo di vivere».
Non riusciva a frenarsi?
«La vittoria non era mai abbastanza. Non era importante quanto vincevo se sapevo che potevo vincere di più, e non era importante quanto perdevo se sapevo che potevo perdere di più. Era un circolo vizioso, mi sono reso conto che non ho mai giocato per i soldi: non ho mai vinto, non ho mai preso il bottino e sono scappato. Ho sempre giocato per il brivido di vedere se quel giorno avrei vinto o perso in maniera assoluta».
Giocava online immagino.
«Sì, perdevo i soldi sdraiato sul divano, con il cellulare in mano. O nel letto. Senza uscire di casa. Pericolosissimo, non devi neanche fare la fatica di andare al casinò».
La cifra più alta persa?
«Cifre molto alte, che sono un insulto alle persone che lavorano».
Canta «Sono schiavo dell’adrenalina / Sto puntando a cinquecentomila». Euro suppongo.
«Diciamo che possono dare un’idea».
Ora ne è fuori.
«Ho riconosciuto il problema, che è il punto di partenza per uscire da una dipendenza. A un certo punto la mia vita girava su un binario solo: becco una hit e scommetto i soldi che guadagno. Era un caos che faceva bene alla mia musica, ma faceva male a me e ho capito che mi dovevo fermare. Ho seguito un percorso da uno psicologo, ho passato mesi impegnativi, la dipendenza non è solo mentale, ma è anche fisica: sudi, tremi, il pensiero ossessivo ti rincorre. Non mi piace dire che ora “ho vinto”, anche perché visto il tipo di dipendenza non è il caso.... Sai che è un impulso che sarà sempre dentro di te, e sta a te riuscire a domarlo».
Federico Palana, in arte Fred De Palma, 34 anni, è diventato il «king del reggaeton italiano» con una serie di hit di successo e numerose collaborazioni internazionali tra cui quelle con Ana Mena («D’estate non vale», «Una volta ancora») e Anitta («Paloma», «Un Altro Ballo»). Ha collezionato 28 dischi di Platino e 6 Ori. Con oltre 4 milioni di ascoltatori mensili su Spotify ha un ruolo di rilievo nel mercato latino (è tra i pochi italiani sul podio dei singoli più ascoltati in un paese straniero).
Ha un enorme gufo tatuato sul petto: che significato ha?
«Come il 90% dei tatuaggi che ho addosso non ha un significato particolare. Mi piacerebbe raccontare la storia dell’animale della notte, di un retropensiero... Invece no. La verità è che quando ero ragazzino non avevo soldi e mi facevo tatuare dai miei amici che imparavano, addosso ho robe tutte storte. Appena ho iniziato a fare i primi soldi, ho pensato: adesso mi tatuo».
È sempre stato egocentrico?
«Un mio amico mi ricorda sempre che da ragazzino firmavo autografi a tutti e dicevo: teneteli perché da grande io sarò famoso... In realtà ho sempre creduto nella possibilità di fare qualcosa di diverso, sapevo che non sarei finito in un contenitore sociale standard».
Pugnalate alle spalle?
«Tante, ma non ne parlo».
Il giorno da rivivere?
«Tanti, ma in realtà nessuno: mi piacciono le cose nuove. Ho sempre assaporato tutto, non c’è stato un momento bello che non mi sia goduto meglio di come potevo».
Un lusso concesso?
«Il lusso se te lo concedi vuol dire che te lo sei meritato. Non mi sono mai tenuto neanche là».
Cosa si è regalato?
«Da orologi da centinaia di migliaia di euro a vacanze folli. Un giorno ho deciso: domani vado a Las Vegas, sono partito e ho speso un botto».
Come è arrivato alla musica?
«In un modo molto spiacevole, quando a 19 anni è morto un mio amico in un incidente d’auto. Non sapevo come gestire quel dolore e quindi ho iniziato a scrivere. Il mio primo testo era proprio dedicato a lui. La sua morte mi ha fatto capire che stavo sprecando la mia vita, che stavo impiegando il mio tempo male, passavo il tempo in strada, con compagnie sbagliate».
Cosa faceva?
Sorride, quasi in imbarazzo. E svicola. «Sono cresciuto nella periferia di Torino, ho sempre vissuto cercando di cavarmela con intelligenza in determinate situazioni... Poi la musica mi ha allontanato da quel mondo pseudocriminale. Ho fatto un percorso inverso rispetto a chi solo dopo aver avuto successo si è voluto avvicinare a quel mondo opaco perché non l’aveva vissuto. Per chi viene da un certo tipo di posto, da certe situazioni, la musica è un modo per scappare e dimenticare».
C’era brutta gente?
«Era proprio il modo di vivere che era sbagliato, ma non conoscevo persone che vivevano in altro modo».
Cosa le hanno insegnato i suoi genitori?
«A non arrendersi. Conosco il fallimento, ma fallimento e sconfitta sono diversi. Il fallimento fa parte del successo, invece la sconfitta ti lascia un trauma da cui è difficile riprendersi».
Mai montato la testa?
«Non mi sono mai sentito superiore a nessuno, mi sembra una cosa superficiale, poco umana».
C’è un approccio alla hit?
«Devi capire con chi stai parlando. Molto più della melodia e della base, è il messaggio che ti fa capire quando puoi arrivare a tutti o invece stai scrivendo un pezzo che può arrivare solo ad alcuni».
Conta di più il messaggio rispetto al suono?
«Secondo me sì, senza essere assoluti: ci sono canzoni intime e canzoni popolari».
È sempre autobiografico nelle sue canzoni?
«Le mie esperienze sono il motore della mia ispirazione, ho sempre fatto una vita molto rock’n’roll e ho tante cose da dire su quel mondo. Faccio musica da quando ho 18 anni, prima ero un adolescente poi subito un cantante; prima stavo in strada poi subito il successo. Ora vorrei cambiare, vivere qualcosa di nuovo, esperienze diverse, cose normali. Non ho mai preso una metropolitana in vita mia...».
O tutto o niente: il prossimo Festival?
«Lo vinco, sicuro».