La Stampa, 27 marzo 2024
Il soldato Gorreri e il Generale Vannacci
Ieri mi sono imbattuto in una notizia, il ritorno a casa della gavetta del soldato Mario Gorreri, e me ne sono invaghito. Volevo sapere tutto del soldato Gorreri. Ed ecco qua: nato nel 1912 a Fidenza, a trent’anni viene spedito sul fronte russo perché Benito Mussolini deve dare una mano a Adolf Hitler. Sarà un disastro e nel 1944, come tanti, Gorreri prova a tornare a casa, e non ci sarebbe riuscito se non fosse stato soccorso, ricoverato, curato, nutrito a Belgorod dalla famiglia Prokhorov. Quando riparte, Gorreri lascia loro in ricordo la gavetta. E fa ritorno in Italia. Ottanta anni dopo, la famiglia Prokhorov ha voluto restituire la gavetta alla famiglia di Gorreri. La notizia, ho scoperto, era stata data pochi anni fa, durante la pandemia, in una piccola, commovente conferenza con le due famiglie, la direttrice dell’istituto di cultura italiana a Mosca, rappresentanti degli Alpini e dei Combattenti e reduci: c’è un video su YouTube. E chi salta fuori? Il generale Vannacci, allora addetto militare dell’ambasciata a Mosca. Tutti riflettevano sull’umanità che riemerge anche in guerra, anche da parte di un popolo invaso generoso con l’invasore, nel caso il popolo russo. E lì il nostro Vannacci ha detto che Gorreri era partito per fare il suo dovere, ma poi «le cose andarono tragicamente», e Gorreri fu «sconfitto sul campo di battaglia». Capisco l’orgoglio bellico di un generale ma – a parte che tragicamente sarebbe andata se avessimo vinto noi, invasori coi nazisti – la storia insegnava altro: che vincere o perdere sul campo di battaglia non è necessariamente la cosa più importante.