Corriere della Sera, 26 marzo 2024
Digiuno intermittente, lo studio americano: «A lungo termine può nuocere alla salute»
Nella disperata ricerca di soluzioni contro l’«epidemia» di obesità, un problema che riguarda oltre un miliardo di persone nel mondo (una su otto), ha trovato posto – e fama – un’idea apparentemente semplice ed economica: il digiuno. Amato e celebrato da tanti personaggi famosi, si può declinare in varie modalità, ma la più nota è quella intermittente («16:8»), in cui l’assunzione di cibo è limitata a 8 ore al giorno, per esempio dalle 8 alle 16, mentre per le restanti 16 ore non si tocca cibo, saltando quindi la cena o in alternativa la prima colazione. Proprio questa formula è stata oggetto di uno studio presentato durante un meeting dell’American Heart Association, che si è tenuto dal 18 al 21 marzo a Chicago.
La conclusione del lavoro è sorprendente: chi mangia nell’arco di 8 ore e digiuna per 16 ha un rischio di morte per eventi cardiovascolari molto più elevato rispetto a chi si nutre per 12-16 ore al giorno. Un risultato distante anni luce dalle teorie che associano le varie forme di digiuno alla longevità e al benessere. «C’è l’idea che si debba cambiare il nostro modo di alimentarci, concentrando l’assunzione di cibo in otto ore per poi assumere soltanto acqua o poco altro per le restanti 16 – commenta Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e ordinario per chiara fama di Nefrologia all’Università degli Studi di Milano —. Sappiamo che, oltre a far dimagrire, il digiuno intermittente migliora la sensibilità all’insulina e il metabolismo, riduce l’infiammazione, abbassa il colesterolo e la pressione del sangue in chi ce l’ha alta. Questi però sono gli effetti a breve termine: possono durare qualche mese, forse un anno. E poi?».
I ricercatori hanno esaminato le abitudini alimentari di 20 mila persone, utilizzando i database dei Centers for disease control and prevention americani, e le hanno poi confrontate con i dati relativi ai decessi avvenuti nello stesso periodo negli Stati Uniti. L’alimentazione limitata a 8 ore al giorno non solo non ha ridotto il rischio complessivo di morte, ma lo ha addirittura aumentato. Un’analisi ulteriore, fatta in persone che già soffrivano di cuore, ha poi dimostrato che digiunare anche solo per 14 ore comporta un rischio più elevato di infarto, ictus e anche di morte. Lo stesso è stato visto nei pazienti con un tumore: la dieta «16:8» non allunga la sopravvivenza, ma semmai la riduce.
Le indagini sono state condotte su un gruppo misto: metà uomini e metà donne (età media 49 anni), per il 70% bianchi, seguiti per una media di 8 anni e un massimo di 17. «Questo studio è importante perché l’idea di limitare entro poche ore l’assunzione del cibo sta diventando molto popolare da noi e dappertutto, ma a lungo termine può fare male, anche a chi è malato di cuore o ha un tumore – sottolinea Remuzzi —. Ci si potrebbe chiedere se il digiuno intermittente protegga da malattie dovute ad altre cause, ma secondo i ricercatori non è così; insomma, alla lunga non sembra dare alcun vantaggio».
Nel lavoro sono stati presi in esame soltanto il tipo di alimentazione (digiuno secondo schermi orari – dieta libera) e le cause di morte, non altri fattori che possono incidere sullo stato di salute. «In effetti l’analisi presentata al meeting dell’American Heart Association ha numerosi limiti – conclude il direttore dell’Istituto Mario Negri —: non ci dà indicazioni sul tipo di dieta e nemmeno sul meccanismo biologico che sta alla base delle differenze nella durata della vita nei due gruppi: sono tutte cose che sarà necessario capire. Ci vorrà ancora molta ricerca per trarre conclusioni definitive. Abbiamo però a disposizione diversi spunti per riflettere: a quanto pare il digiuno intermittente non solo non è un elisir di lunga vita, ma potrebbe persino rivelarsi vero il contrario».