La Stampa, 26 marzo 2024
Da Abu Ghraib alle carceri di Assad
È un caso da manuale: commettere il male in nome del bene, anzi per il bene della Causa. Intenzioni troppo radiose, ovvero impedire nuovi delitti, salvare innocenti, coronando così le peggiori ignominie. Parliamo, sì, della tortura, la tortura per svelare le trame del terrorismo, disarticolare la rete dei fabbricanti di cadaveri in nome di dio, che ha già colpito e minaccia di colpire ancora. È così che la violazione dell’interdizione che fu cara a Verri e Beccaria rimpicciolisce in una piccola eccezione amministrativa. E diventa lo sbandamento che dimostra come, frequentando il nemico, sia impossibile non essere contagiati nella stessa logica. Il Diritto si assopisce tra le nostre mani. Decomprimiamo! Meno scrupoli! Il risultato sacrosanto è più importante dei mezzi utilizzati per ottenerlo.Perché parlar di questo, ora? Chissà se gli arrestati per la strage di Mosca sono davvero jihadisti o laica manodopera sanguinaria di ben più contorte provocazioni. E chissà se le loro “confessioni” così svelte e apparentemente complete, non resteranno negli archivi degli eredi del Kgb e degli implacabili lettoni della Ceka con la loro verità; e quella che verrà resa pubblica e impiegata per il seguito punitivo sarà un’altra, che rientra nei disegni del Cremlino impegnato nella guerra totale, ovvero con ogni mezzo e spunto, all’Ucraina e all’occidente.E proprio questo, il contesto, la guerra, è la ragione per riflettere. Dopo il 2001 e il capolavoro di Bin Laden la guerra americana al terrorismo ha legittimato vaste e profonde eccezioni al diritto, tra cui il ricorso alla tortura per ottenere nomi, prove e informazioni sulla internazionale islamica. Deviazione che in occidente, senza quello choc omicida, avremmo contestato con asprezza come intollerabili limitazioni e ferite alla democrazia. Ebbene, nel clima di una emergenza bellica ben più ampia del jihad degli apostoli di Al Qaeda ed eredi più o meno spuri, nel prepariamoci all’attacco della tirannide non califfale ma putiniana, la nuova Paura può avviare e giustificare (se ne vedono le avvisaglie) altri e più rigidi distinguo.Non ci sono dubbi, certo, sul modo con cui a Mosca vengono condotti gli interrogatori per far cantare gli individuati colpevoli del massacro. Tanto che uno di loro è comparso orrendamente scempiato dal taglio di un orecchio. Tirannidi e autocrazie, dal tempo degli assiri che avevano già elaborato complicate tecniche di tortura, non si pongono certo problemi di limiti giudiziari. Tanto meno quelle così teneramente post sovietiche. In quel mondo in qualsiasi processo storico c’era sempre un lato positivo e uno negativo. Una cosa elementare, la dialettica insomma. Stalin ne era un ferreo, un po’ primitivo maestro. Si tortura, dunque ma l’importante è che i traditori, le spie, i nemici del popolo confessino: e soprattutto facciano i nomi dei complici. Come in molte cose il putinismo non fa altro che confermare, prolungare, imitare.È curioso che a credere con foga al ritorno del pericolo jihadista, del terrorismo diffuso, per cui già si annunciano controlli rafforzati e riunioni di urgenza di intelligence e gendarmerie, siano solo gli occidentali. Mentre le vittime, i russi, ovvero coloro che hanno i migliori strumenti per decifrare la realtà di quanto è accaduto, quasi non ne parlano.Allora ci sono gli uomini. Che importano gli uomini se il loro sacrificio è utile? Ci sono le intenzioni. Che importano se stabiliamo che in alcuni casi le buone annullano le cattive? Siamo noi, il Potere, a stabilirlo. Impedire attentati contro innocenti, per esempio, è una idea santa. Ma quando nel nome della necessità abbiamo seminato la violenza e la violazione di quanto difendiamo, la legge, che resterà di quella idea santa?Perché qui non parliamo di Putin, di Bashar o dei feroci tiranni del Sud globale. Parliamo anche di Guantanamo e di Abu Ghraib: la tortura democratica con tanto di sigillo di eccellenti Corti, tribunali e parlamenti. Ad ogni obiezione si ribatteva: ma di fronte al terrorismo la democrazia occidentale affonda! E semmai affondava a Guantanamo e ad Abu Ghraib. E per parlare del jihadismo di Hamas e del suo sette ottobre, affonda nelle carceri israeliane, se si confermano le denunce di alcuni prigionieri della guerra di Gaza. Noi l’abbiamo guardata affondare la democrazia e con lei il diritto negli anni di Bush e compagnia. Quando abbiamo detto: dopo aver visto quello che questi fanatici fanno perché dovremmo storcere la bocca di fonte a ispezioni senza regole, garanzie attenuate, prigioni fantasma e perfino qualche interrogatorio violento? In nome di quali scrupoli? La tortura per terrorizzare e schiavizzare, quella dei tiranni, quella no per carità. È una turpe faccenda, la vietiamo e la denunciamo come un sanguinoso e metodico incantesimo malvagio. Ma è necessario per la sicurezza collettiva, per difenderci!, da ogni torbido focolaio, procedere a qualche momentanea si intende, sospensione. Insomma! Fateli parlare in ogni modo con qualsiasi mezzo, eliminateli, torturateli.Nello Ius della (santa) inquisizione si proclamava che il tratto di corda serviva a salvare l’anima del sospetto eretico, a scovare altri fuorviati da satana. Si esigeva non tanto l’indizio della colpevolezza dell’imputato, ma le indicazioni per altri arresti di predicatori funesti, per bruciare libri velenosi, individuare covi del sabba. Le ideologie totalitarie hanno raccolto il testimone passando dalla corda alle scosse elettriche. E altro...Dopo le Torri gemelle la giustizia occidentale si è addossata pubblicamente la sua parte di violenza, l’uso della sofferenza è uscita dall’ombra e dalle regole per diventare un esplicito atto procedurale e amministrativo. Il corpo piagato, umiliato, percosso ridiventa il bersaglio diretto della azione penale.Il carattere atroce della tortura è nel porre la sfida inquisitoria sul piano della resistenza dell’essere umano al dolore. Ho conosciuto un miliziano islamista siriano che si vantava di poter tenere in vita per settimane un prigioniero da cui voleva sapere “la verità” sottoponendolo ogni giorno a turni di feroci torture: il mio record è due settimane! Diceva. E confessava, con modestia, che aveva imparato la “tecnica” copiando quello che i torturatori di Bashar Assad sperimentavano nelle prigioni del regime su oppositori o islamisti.Chi interroga torturando e il prigioniero si battono non sulla evidenza dei fatti e delle prove ma in uno spazio di diritti aboliti che lasciano licenza all’inventiva dell’anatomista della sofferenza. Ebbene, che resti chiaro: nessun jihadismo, e nessuna guerra, ci giustifica a gestire e sfruttare gli illegalismi. —