il Giornale, 26 marzo 2024
Quando è il medico ad andare dal paziente
In Italia, le persone disabili sono quasi 13 milioni (anno 2022), delle quali oltre 3 milioni sono in condizione di grave disabilità. Tra le persone con grave disabilità, quasi 1 milione e 500 mila ha un’età superiore a 75 anni e spesso vivono da sole. Questi sono i dati forniti dall’osservatorio sulla salute (fonte https://www.osservatoriosullasalute.it/) e dall’ISTAT (fonte https://disabilitaincifre.istat.it/).
Il modello di welfare italiano è caratterizzato da una tipologia di interventi basati sui trasferimenti economici, quasi tutte pensioni, piuttosto che sui servizi. In particolare su 28 miliardi di spesa quasi 27 sono trasferimenti monetari, pari al 96,4% della spesa totale.
La condizione di invalidità civile viene riconosciuta da una commissione medica, con presente anche l’assistente sociale, che propone all’INPS sia una percentuale di invalidità (invalidità civile) sia l’eventuale livello di gravità della disabilità (la comunemente nota legge 104). L’INPS decide ed eroga I benefici cui la persona disabile ha diritto.
Normalmente le persone vengono convocate, in presenza, davanti alla commissione medica e, eventualmente, anche dall’INPS. Ci sono però persone che sono talmente gravi da non essere in grado di comparire davanti alla commissione.
Sono i cosiddetti Intrasportabili.
Il mio mestiere è quello di andare a visitare a casa gli Intrasportabili e redigere un certificato con la documentazione della loro effettiva gravità.
Io sono un dipendente della ASST di Lodi e sono un ex primario di pronto soccorso che, diventato disabile a causa di un incidente stradale, ha deciso di occuparsi di questa categoria di persone.
Gli intrasportabili, appunto.
Quando ho spiegato al mio Direttore Generale di allora che ero la persona più adatta per quel compito in quanto ero diventato un OGM, lui ha strabuzzato gli occhi
«OGM? Scusi?», mi ha chiesto stupito
«Sì. Io sono un Ospedaliero Geneticamente Modificato. La disabilità mi ha modificato geneticamente. Io ho il miglior conflitto di interesse che un medico possa avere. Sono prima di tutto un paziente. Sono un disabile che sa cosa significhi NON essere seguiti sul territorio».
Alla mia spiegazione il Direttore Generale ha abbozzato un sorriso amaro ed ha acconsentito.
Da allora ho incontrato parecchie persone con parecchia disabilità. Dai tetraplegici ai gravi dementi, da chi vive attaccato all’ossigeno agli oncologici in fase terminale.
Qualcuno di loro con dei parenti (quelli che ne sanno li chiamano care givers) attenti e presenti, altri no.
Mi piace fare il medico in questo modo. Mi permette di applicare le conoscenze tecniche della mia professione ma non solo.
C’è di più.
Ci sono due valori aggiunti.
Il primo è che vado a trovare le persone a casa loro. Questo è un privilegio che pochi medici hanno. I medici di medicina generale (quanto rimpiango la vecchia denominazione Medico di Famiglia) ed i medici di continuità assistenziale (la Guardia Medica, per intenderci).
Sono io che vado da loro e non viceversa, come avviene in ospedale.
E quando sei a casa tua, tutto è meglio. Compreso aspettare la morte.
Il secondo è il fattore tempo. Posso prendermi il tempo che mi serve per ascoltare, leggere, parlare e capire. Anche questo è un privilegio non da poco. I miei colleghi nei reparti e negli ambulatori hanno i tempi contingentati. Un Tempario per le prestazioni semplici e per quelle complesse. Devono rispettarlo. Hanno il fiato sul collo dei loro dirigenti perché devono ridurre le famigerate liste d’attesa. Io no. Io posso addirittura permettermi di accettare l’offerta di una tazza di caffè e gustarmi il dono più prezioso che esista per un medico. Il tempo da poter passare ad ascoltare in religioso silenzio le storie dei miei pazienti.
È l’inizio di qualunque atto medico. L’anamnesi.
Quando esco dalle case degli «Intrasportabili», di solito, non sono mai triste.
Sono contento perché non c’è volta in cui gli Intrasportabili, o i loro parenti, non mi ringrazino per avere regalato loro un po’ di minuti di ascolto ed interrotto la solitudine delle loro giornate.
E perché no, regalato un po’ di parole che se, purtroppo, non guariscono, sicuramente curano.
Potrebbe sembrare poco ma, credetemi, è tantissima roba.