Corriere della Sera, 25 marzo 2024
Sulla coppia Fratoianni-Piccolotti
P almiro Togliatti e Nilde Iotti non andavano in giro per talk show (solo Maurizio Costanzo, nel 1977, riuscì a far sedere lei nel salotto di Bontà loro, che però era ancora un esperimento visionario). La leggendaria coppia della sinistra italiana faceva politica al tempo di una televisione in bianco e nero, piena di sussiego, di voci gravi, gli uomini con abiti cimiteriali e le donne in tailleur completo di spilla, una tivù noiosa nella sua autorevolezza, senza quel ritmo, quel samba dialettico a cui siamo ormai abituati e dentro al quale da tempo ballano altri due compagni, Nicola Fratoianni ed Elisabetta Piccolotti, la coppia più mediatica e glamour dell’attuale sinistra italiana (e di Sinistra italiana, intesa proprio come partito, come atomo residuo: una scissione dopo l’altra, alla fine se lo sono portato a casa, mettendolo in sala da pranzo, nella vetrinetta, tipo gondola di plastica).
Gli autori tv sono pazzi di questo marito e di questa moglie. Perché funzionano, bucano, arrivano. Sono preparati e convincenti. Conoscono i tempi, sanno parlare (frasi corte e tonde, risposte essenziali come slogan). E poi sono belli. E pure comunisti. Belli e comunisti. Lei persino elegante. Belli, comunisti ed eleganti. Magnifico. Infatti le curve di ascolto dicono: quando compaiono, la gente non cambia canale.
Studiare il caso non è stato complicato. Nick ed Eli (i vezzeggiativi sono un segno dei tempi: nessuno si sarebbe mai sognato di commentare le avventure di Palmy e Nildina), li becchi spesso nei backstage, luogo designato per capire l’autentica stoffa di un politico. Vedi comparire gli arroganti (che vorrebbero essere salutati per primi), le isteriche (tante) che s’infilano in sala trucco come dovessero fare un provino con Sorrentino, e poi i rancorosi con la bava alla bocca, i mitomani con il codazzo di portavoce e portaborse (no, sul serio: certi si fanno proprio portare la borsa e l’ombrello), quelli scarsi che leggono e rileggono gli inutili appunti e, infine, i veri professionisti del talk (su tutti, Maurizio Gasparri, sempre sul pezzo, e Matteo Renzi, che conosce pure i cameraman, saluta chiunque, e poi si siede e parte, naturale come se stesse al bar).
Ecco, Nick può essere definito un professionista. Con un suo genere. Il solito. Quello di sempre. Piacionesco e appassionato. Un Califano con l’eskimo.
Il ricordo è nitido. Barbuto, l’aria stropicciata, i jeans strappati, inseguito dagli agenti in tenuta antisommossa e adorato da giovani rivoluzionarie felici di avere un leaderino rosso così: nel gelido febbraio del 2003, Nick – tutto istinto alla lotta e alla ribellione – correva sui binari della stazione ferroviaria di Pisa, la sua città, per andare a bloccare i convogli di armamenti americani diretti nel Golfo. Però pure adesso che è diventato onorevole gruppettaro, eccolo che si presenta ancora con l’abito un po’ sgualcito, i capelli arruffati – «Sono appena tornato da Gaza, gli israeliani stanno sterminando la popolazione palestinese» – e intanto lo microfonano, mentre lui ha quest’aria anche annoiata, o forse stanca, comunque ti sta lasciando intendere che sarebbe sempre per l’azione, la piazza, e invece gli tocca fare il deputato, e stare in tv.
Indagando sul personaggio ho scoperto che, da giovane, giocava bene a ping pong. È strepitosa, questa cosa. Anche Ernesto Che Guevara giocava a ping pong. Però meno bene di Nick, che partecipava ai tornei nazionali. È una bella suggestione immaginare che le abbia un po’ romanzato questo dettaglio, mentre erano dentro i sacchi a pelo, sotto le stelle di Genova, nei tragici giorni di quel G8: Eli aveva solo 18 anni, lui era già un capetto no global. La mattina si svegliavano e insieme cantavano Bella ciao, in corteo con la sciarpa sul naso per proteggersi dai lacrimogeni della polizia, prima che gli squadroni entrassero nella scuola Diaz, per fare quel po’ di macelleria messicana che sappiamo, cicatrice profonda delle nostre istituzioni.
Passione politica
Lui fu assessore di Vendola, lei coordinatrice dei Giovani comunisti
Eli oggi ha 41 anni, è una marchigiana cresciuta in Umbria, a Foligno, che un’antica credenza popolare considera «lu centru de lu munnu» (tradotto: il centro del mondo), ma che è distante dalla grande politica. Però lei ha sempre avuto una passione feroce: nel 2006 diventa coordinatrice dei Giovani comunisti, poi torna a fare l’assessora a casa, quindi guida la segreteria umbra di Sel. Prima candidatura, alle elezioni del 2013: e non ce la fa. Al secondo tentativo, fa bingo. Tra roventi polemiche. Perché, intanto, con il capo si è sposata.
Matrimonio alto borghese (del resto, con quello che guadagnano): nella sala Sisto IV di Palazzo Trinci, a Foligno, con lui in smoking e lei raggiante come una diva, in bianco, in lungo, più il piccolo Adriano (all’epoca aveva 6 anni), tenuto per mano. Poco dietro, Nichi Vendola, con fascia tricolore, che li ha uniti.
Nick è stato assessore alle Politiche giovanili (in sandali e bermuda, era fantastico) nella grandiosa stagione della sinistra pugliese, quando Nichi era governatore. Fiammante avventura di buona politica, di speranze concrete, che Nick attraversò a cavallo di una Triumph Bonneville rombante, davvero un Che del Salento, dove tra l’altro ha lasciato – raccontano – molte vedovelle.
Però insomma è della Piccolotti che s’innamora ed è lei che candida e fa eleggere alle elezioni del 2022. Una sconcezza, secondo qualcuno. Pura mancanza di opportunità. In realtà, polemiche zuppe solo di retorica pelosa: perché è pieno di medici che fanno famiglia nello stesso reparto, e di giornalisti che si amano nella stessa redazione. E poi comunque – si diceva – lei è davvero molto brava. Forse un filo presuntuosa. Forse scostante. Il che, intendiamoci, ne aumenta il tasso di fascino. Il destrorso Italo Bocchino, un altro con il passato da spietato tombeur de femmes, il martedì da Giovanni Floris finge di polemizzarci, in realtà è solo una scusa per rivolgerle la parola: infatti, le parla estasiato (a memoria, poche donne di sinistra hanno saputo far tacere in tv, stordire, i maschietti: vengono in mente Anna Finocchiaro, forse Giovanna Melandri, poi boh).
Qualsiasi ospitata prevede una tassa: con Nick&Eli è severamente vietato fare allusioni alla storiaccia di Aboubakar Soumahoro, il sindacalista nero che piaceva ad Angelo Bonelli, un politico sincero ai limiti dell’ingenuità, e che finì nelle liste di Alleanza Verdi e Sinistra per superficialità, per abbaglio, perché né Bonelli né Fratoianni avevano ben capito cosa accadesse nelle sue cooperative, vere o presunte, mentre era tremendamente vero il lusso sfrenato in cui vivevano la moglie e la suocera, Liliane Murekatete e Marie Therese Mukamitsindo.
Acqua passata. Dopo la pubblicità, torniamo in studio. E ricominciamo da Elisabetta Piccolotti.