Il Messaggero, 24 marzo 2024
La grande fuga dalla scuola Persi 500 mila studenti `
ROMA Lasciano gli studi prima del tempo oppure lasciano l’Italia, per cercare il lavoro altrove. Sta di fatto che per mezzo milione di giovani non è semplice formarsi e farsi un futuro, in Italia. Un triste fenomeno sia a livello sociale sia economico: di questo passo, infatti, le aziende italiane saranno sempre più in difficoltà nel trovare personale qualificato. I numeri, preoccupanti, arrivano dall’Ufficio studi della Cgia: nel 2022 i giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno abbandonato la scuola prima del diploma, quindi avendo in mano al massimo la licenza di terza media, sono stati 465.000. Più di uno su dieci, visto che rappresentano l’11,5% del totale in quella fascia di età. Un dato che porta l’Italia a svettare in un triste podio, peggio riescono a fare solo la Spagna con il 13,9% e la Germania con il 12,2%, mentre nell’area Euro la media degli abbandoni è del 9,7%. CERVELLI IN FUGANon solo, dal mondo giovanile e in merito alle prospettive future per i ragazzi emerge anche un altro fenomeno, quello dei cosiddetti cervelli in fuga. Sempre nel 2022, infatti, se ne sono andati dall’Italia per trasferirsi all’estero ben 55.500 ragazzi. «Se la dispersione scolastica non è ancora avvertita come una piaga educativa con un costo sociale spaventoso – spiegano gli esperti dell’Ufficio studi della Cgia – la «fuga» all’estero di tanti giovani, invece, lo è». L’Italia inoltre resta decisamente indietro, rispetto agli altri paesi europei considerati competitor, perché presenta un numero inferiore di diplomati e di laureati, soprattutto nelle materie tecnico scientifiche. «Se in tempi ragionevolmente brevi non riusciremo a recuperare il gap con i nostri competitor – spiegano da Cgia – corriamo il pericolo di un impoverimento generale del sistema Paese». La povertà educativa va di pari passo con quella economica: le cause che determinano la «fuga» dai banchi di scuola, prima di conseguire il diploma, sono principalmente culturali, sociali ed economiche. Gli studenti che provengono da ambienti socialmente svantaggiati e da famiglie con un basso livello di istruzione hanno maggiori probabilità di abbandonare la scuola prima del tempo. Le regioni maggiormente colpite sono quelle del Sud con una media del 15,1% di dispersione rispetto ad una media nazionale dell’11,5%: in Puglia si arriva al 14,6%, in Sardegna al 14,7%, in Campania al 16,1% e in Sicilia si arriva addirittura al 18,8%. A questo si aggiunge l’alto tasso di denatalità, mai tanto alto come nel 2022 e confermato poi nel 2023 con l’Italia che è scesa al di sotto delle 400mila nascite come non era mai accaduto prima. Oltre al preoccupante calo delle culle, da considerare a livello sociale, emerge ora anche un aspetto economico e lavorativo: negli anni verranno infatti a mancare sempre più diplomati e ragazzi formati per impieghi qualificati. Che cosa si rischia allora? Secondo Cgia, l’Italia rischia di andare incontro a ricadute pesantissime anche per le imprese che avranno sempre meno giovani da assumere per ruoli strategici, per cui serve una formazione specifica. Per le Poi, le piccole e medie imprese, è già molto difficile oggi, infatti, trovare personale da assumere e da inserire nei processi produttivi. Nel 2023 è infatti aumentata per le imprese la difficoltà a procedere nelle assunzioni programmate: secondo i dati del Bollettino del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere con Anpal, il 48% delle assunzioni programmate dalle imprese per settembre e ottobre scorso ha avuto forti difficoltà a trovare il personale adeguato. In sostanza le imprese non hanno trovato personale adatto alle loro necessità. E si tratta di un dato che cresce spaventosamente visto che è in aumento di 5 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2022. Una percentuale molto alta che, per diverse figure tecnico-ingegneristiche e di operai specializzati, addirittura arriva anche al 60% e 70%.GLI ISTITUTI TECNICISu questo aspetto il Governo sta lavorando per potenziare gli istituti tecnici professionali, con la riforma del 4+2 che permette di diplomarsi un anno prima per poi accedere agli ITS, gli istituti tecnici superiori altamente qualificanti e collegati con il mondo del lavoro tanto da garantire tassi di occupabilità che in molti casi superano l’85%.