Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  marzo 24 Domenica calendario

Tim. Il governo “sovranista” completa lo scempio. Fermate un disastro a danno di lavoratori e Paese

Abbiamo sempre messo in guardia governi e manager rispetto ai rischi di deindustrializzazione del settore più strategico del Paese: le telecomunicazioni. Oggi siamo all’ultimo giro di valzer per Tim, il maggiore player, che con la separazione della rete dai servizi offerti perde la sua sfida più grande. E con essa, ogni ambizione competitiva. La Telecom del 1997, l’ultimo anno della gestione pubblica, si attestava al quinto posto tra le aziende del settore nel mondo: 120 mila addetti, un fatturato di 23 miliardi, un indebitamento inferiore agli 8 miliardi, ed un volume di investimenti di circa 6,5 miliardi l’anno. Lo sconfortante quadro dell’oggi ci consegna una Tim che, dopo la privatizzazione più selvaggia della storia nazionale, conta solo un terzo dei dipendenti di allora, fattura 16 miliardi mentre ne ha circa 26 di debito, e, quanto ad investimenti, non arriva alla metà di allora. Cifre implacabili che raccontano il lento ma costante processo di scarnificazione che, oltre ad aver impoverito l’azienda, ha privato il paese di un prezioso gioiellino industriale.
Fu per questo che, già nel 2018, avevamo proposto la fusione con Open Fiber, la stabilizzazione del capitale attraverso un impegno di Cdp e la conseguente creazione di un’azienda di “sistema” in grado di realizzare la rete unica di nuova generazione e di accompagnare la digitalizzazione del Paese. Una lettera di intenti fu sottoscritta nell’agosto 2020 da tutti i soggetti coinvolti. Prospettiva malauguratamente svanita con la caduta del governo Conte.
Da allora più nulla se non un navigare a vista sino al punto da rendere insostenibile il peso dell’indebitamento ed alla conseguente resa incondizionata con la vendita della rete al fondo Usa Kkr. Una scelta sbagliata, frutto avvelenato del non aver voluto intervenire per tempo e che continua ad allontanarci dalle future scelte dell’Europa sulle telecomunicazioni. Ma al peggio non c’è fine ed ecco che avanza un ulteriore “Piano”. Viene dismessa la velleità di mantenere la rete, si propone di vendere anche la controllata Tim Brasil e di svendere le attività retail, immaginando un futuro che si concentra sui circa 5000 superstiti di Enterprise.
Si sarebbe potuto evitare un simile epilogo? Noi pensiamo di si, anche facendo pagare un prezzo agli azionisti attraverso un aumento di capitale, oppure ai creditori, attivando una procedura ex legge Prodi.
Temiamo invece che prevarrà la scelta di far pagare il prezzo di tanta disinvoltura in primis ai lavoratori che avevano negli anni passati garantito il successo dell’Azienda, poi ai giovani che non potranno contare in futuro su una occupazione stabile e di qualità, ed infine a tutto il Paese che sconterà un imperdonabile ritardo sulla strada della digitalizzazione.
Diversi governi, insieme alle svariate maggioranze che li hanno sostenuti, portano la responsabilità politica di questa triste vicenda che sembra non aver insegnato niente. L’attuale Governo, dismessi i roboanti proclami sulla sovranità nazionale, pare non andare oltre un irresponsabile rimando al mercato. Noi continueremo a batterci per il lavoro e in difesa degli interessi del Paese, convinti che il baratro possa ancora essere evitato.