Corriere della Sera, 24 marzo 2024
Se il software fa «sparire» le archiviazioni
In Italia, rispetto ai primi mesi del 2023, sembra non ci siano più archiviazioni: meno 43.455 richieste dei pm e 101.696 decreti dei gip, crollo dell’80% perché, tra esasperanti attese nel caricare gli atti e irrazionalità di architettura, non funziona il software ministeriale (obbligatorio dall’1 gennaio) primo modulo del processo penale telematico. Ma per sospenderlo ci vorrebbe la certificazione del malfunzionamento da parte del Ministero, che invece confida in un cronoprogramma di «aggiornamenti» in attesa di una «App 2.0». Milano, come autodifesa, lo sospende 7 giorni solo nei fascicoli «seriali ignoti», mentre a Napoli il procuratore Gratteri, quando manutenzioni straordinarie e nuove «patch» moltiplicano «criticità e regressioni», fa tornare alla carta «fino a verifica del corretto funzionamento». Riprova di quanto il disegno delle strutture informatiche condizioni autonomia e indipendenza dei magistrati ben più di leggi «ammazza» questo o quel reato.
Ma avanza anche un tipo più discutibile di giustizia difensiva. Dopo che per le violenze di genere (codice rosso) il legislatore vuole conoscere ogni 3 mesi quante misure cautelari siano o no chieste dai pm entro 30 giorni dall’iscrizione, una circolare del Pg di Cassazione lascia la facoltà ai procuratori di prevedere un «decreto» del pm (dunque nel fascicolo) per i casi in cui non ravvisi i presupposti di un arresto. Ma a Milano una direttiva del procuratore Viola introduce il «modulo-promemoria», prestampato a crocette, che «non dovrà essere inserito nel fascicolo processuale ma custodito a parte»: ircocervo inedito, come a doversi parare da future polemiche dopo fatti di sangue, barrando le caselle dei possibili motivi di non arresto (necessità di ulteriori indagini, non pericolo di reiterazione o di atti violenti, ecc.): ma non sono già le normali valutazioni di cui un pm si assume la responsabilità ogni giorno in ogni fascicolo?
lferrarella@corriere.it