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 2024  marzo 24 Domenica calendario

Intervista a Donatella Girombelli

Donatella Girombelli, imprenditrice, stilista, icona della moda e capitana d’azienda: Lady Genny, 80 anni appena compiuti.
«Un compleanno importante, mi sento benissimo, contenta di essere arrivata a questa età. L’ho conquistata, ma non come in guerra, è una conquista serena. Con l’età si migliora».
In cosa è migliorata?
«Mettevo sempre al primo posto il lavoro. Amavo molto quello che facevo, ma era ansiogeno e mi portava lontana dagli affetti».
Cosa le mancava durante gli anni in «trincea»?
«Uno spazio per me, il tempo di fare le cose con calma e decidere una cosa pensandoci su. Se si decide al volo si sbaglia. Ogni progetto che riguardava me era nel cassetto e quel cassetto era diventato così pieno...»
Cosa ha lasciato indietro?
«Me stessa. Ma i viaggi sono stati il mio salvavita. Mi arricchivo con la bellezza: il bello ci raffina il cervello e i sentimenti. Se hai delle brutture intorno rischi di incattivirti».
La sua vita è una favola: orfana di mamma, cresciuta a Bolzano. Poi il lieto fine inatteso...
«Ho un solo ricordo di mia mamma: avevo 3 anni, ero in cucina, stava sistemando i piatti e la guardavo. È morta di meningite poco dopo».
Come è stato crescere senza madre?
«Mentre diventi grande non te ne accorgi. A un certo punto della mia vita ho deciso di fare rebirthing per indagare attraverso respiri profondissimi quel senso di vuoto che mi accompagnava. Era la mancanza di mia mamma».
Suo padre?
«Era un progettista di piazze e monumenti, sempre in giro per il mondo: tornava ogni tre mesi. Così dalle Marche mi sono trasferita a Bolzano dagli zii, che non avevano figli. Brave persone, ma severe: l’unica preoccupazione era che crescessi educata e diligente».
A 18 anni è andata a Milano.
«Gli zii hanno provato a trattenermi dicendo avrei dovuto mantenermi da sola. Di mattina frequentavo la Marangoni, il pomeriggio facevo la tata in una famiglia».
Sliding doors: se fosse rimasta a Bolzano?
«C’era un avvocato, l’avevo visto solo una volta: per gli zii era il marito perfetto».
A Milano inizia la favola.
«Avevo in mente la moda fin da piccola, facevo gli schizzi e sognavo con i pochi giornali in casa. Lo stesso pomeriggio che mi sono diplomata mi hanno offerto un posto da disegnatrice. Un giorno, lì, è arrivato Arnaldo Girombelli, fondatore di Genny».
E suo futuro marito.
«Sono stata per una settimana a disegnare nella sua azienda ad Ancona. Il giorno prima di ripartire mi ha chiesto di rimanere».
Era il 1964, aveva 20 anni.
«Milano l’avevo scelta con il cervello, Ancona con il cuore: l’ho letta come una cosa del destino, che mi voleva riportare alle origini».
Arnaldo Girombelli.
«Avevamo 10 anni di differenza, sono diventata il suo braccio destro: voleva la mia opinione su ogni decisione. Ci siamo innamorati, insieme abbiamo avuto Leonardo. È stato un grande amore. Aveva carisma e vedeva avanti. Quando è morto, nel 1980, ho preso in mano l’azienda».
Il complimento più bello che le ha fatto?
«Era un po’ maschilista e lo rimproveravo per questo. Mi diceva: stimo solo due donne, te e mia sorella. Quando era molto malato mi lasciò senza parole: “mi dispiace morire perché devo rinunciare a te”».
In cosa lo completava?
«Nel rapporto con gli altri. Ad esempio mio marito e Gianni Versace, nostro stilista, si detestavano. Ma io riuscivo a riportare la pace: a convincere le persone sono infallibile».
Vedova a 40 anni, con un figlio di 8 e un’azienda da mandare avanti.
«Dai 3 anni in su non ho mai avuto aiuti, mi sono abituata a fare da sola. Superare gli ostacoli per me significa aumentare l’autostima».
Una sua intuizione che ha cambiato la moda?
«Ho pensato che volevo fare qualcosa per le donne: se le rendevo più belle si sarebbero sentite più sicure. Non ero tipo da scendere in piazza a manifestare, ma le rendevo potenti con gli abiti».
La prima decisione presa alla guida dell’azienda.
«Cambiare stilista. Dopo Versace arrivò Rebecca Moses: il minimalismo che ho sempre prediletto».
Gianni Versace.
«Un’ intelligenza superiore, un po’ perfido. Era un lavoratore instancabile: la sera prima della sfilata poteva cambiare tutto. Mi ha insegnato che non bisogna accontentarsi: con lui sono diventata ancora più perfezionista. Da noi hanno lavorato Dolce & Gabbana e Montana: dei primi ricordo la grande ironia, Montana era più inaccessibile».
È stata la prima donna nel 1984 alla Casa Bianca.
«Eravamo ospiti di Reagan e sua moglie Nancy, una lady di ferro, controllava tutto. Prima di me parlò Alberto di Monaco: era un ragazzino e mentre teneva il discorso vedevo le sue gambe tremare».
La maternità.
«Per il compleanno Leonardo mi ha scritto una lettera bellissima: ha compreso tutte le mie pene e condiviso le gioie. Lui e sua moglie Diamante mi hanno regalato la gioia di tre nipoti che amo».
In azienda le hanno fatto pesare di essere donna?
«All’inizio ero vista quasi come una mosca bianca: una donna alla guida... Ma dai miei dipendenti venivo ammirata per il coraggio e le capacità. Ogni anno ci riuniamo e ci sediamo come eravamo seduti in mensa».
In cosa si sente capitana?
«Nel senso di responsabilità che ho avuto verso chi lavorava in azienda».
Quando è elegante una donna?
«Ho fatto mia la frase di Saint Laurent: “la cosa più bella di un abito è la donna che lo indossa”. Bisogna saper vestire la personalità».
È stata molto corteggiata.
«L’amicizia è più importante dell’amore, la cerco anche nella coppia. Non ho mai voluto protezione, ci penso io a proteggermi».
Alcuni uomini si sono sentiti in competizione?
«Se è accaduto ho fatto finta di non accorgermene. Quindi la risposta è sì».
Le amiche: la Vanoni.
«Le voglio un gran bene, a volte discutiamo ma è bello discutere con persone intelligenti. Le dico: “Tu per me non sei la Vanoni, sei Ornella”. Oppure: “Se metti ancora una cintura che ti segna ti dò due sberle”. Alla nostra età devi metterti “sciolta”...».
Altre amiche del cuore.
«Giovina Moretti: la sua casa di Como è stata un rifugio dopo la morte di Arnaldo. Poi Annamaria Bernardini de Pace: sorride ma non la scalfisce neppure la bomba atomica».
Tre donne eleganti.
«Jackie, Tilda Swinton, Inés de la Fressange».
Progetti per il futuro?
«Voglio dedicare tempo alla famiglia e ai viaggi con le amiche. Poi ho cura della natura: con Ocean Foundation ripopoliamo i fondali».
Alla fine lei torna sempre al mare.
«Sono milanese per la mentalità, marchigiana per la semplicità. Somiglio alle mie colline sul mare: morbide ma con dei grandi pezzi di terreno squadrati».