Corriere della Sera, 24 marzo 2024
L’arroganza di Sinwar. Il capo gestisce i negoziati fra tunnel e pizzini
Le ultime tracce (note) dell’uomo più ricercato del mondo sono in una telecamera di sicurezza che i soldati israeliani hanno trovato a metà febbraio a Khan Younis, nel centro della Striscia di Gaza. Nel solito bianco e nero di queste registrazioni, un miliziano illumina con una torcia elettrica una galleria alta quanto serve per non battere la testa. Lo seguono una donna con il velo e tre bambini tra i 5 e i 10 anni, alcuni usano la luce del cellulare per farsi strada. Chiude la fila Yahya Sinwar, il capo di Hamas a Gaza, l’ideatore del blitz divenuto massacro il 7 ottobre. La donna e i bambini sono la sua famiglia. Sinwar porta una valigetta da medico gonfia, pantaloni larghi, maglietta e ciabatte di plastica. Da sei mesi, ormai, i tunnel sono il suo (e il loro) unico orizzonte. Secondo le Forze di Difesa Israeliane è probabile che Sinwar non solo continui anche oggi a nascondersi con la famiglia, ma sia anche molto vicino alla prigione di alcuni ostaggi israeliani che usa come scudi umani. Attorno ha una cerchia di miliziani che dovrebbero dargli il tempo di scappare in caso di blitz.
Saddam Hussein sfuggì agli americani per 8 mesi. Poi a tradirlo fu un corriere che, torturato, rivelò la fattoria dove si nascondeva il presidente iracheno. Anche lui sottoterra. Sinwar è già in fuga da 6 mesi. Si dice che abbia abolito le comunicazioni elettroniche, che usi solo «pizzini» come Messina Denaro, latitante per 30 anni. Si dice che si sposti spesso, che solo una persona conosca l’ultimo rifugio, forse il fratello Mohammed. A inseguire i Sinwar ci sono le spie israeliane (Mossad e Shin Bet), ma anche Washington che fa volare sopra la Striscia ogni «orecchio» e «occhio» possibile. I telefonini in mano ai figli potrebbero essere una falla nel sistema di sicurezza così come qualunque «postino».
Ora Yahya Sinwar ha imposto che un eventuale accordo di cessate il fuoco e liberazione degli ostaggi debba avere il suo ok. Le trattative però avvengono a Doha, capitale del Qatar, dove, vista la sfiducia reciproca, i capi di Hamas in esilio stanno in un palazzo, i delegati israeliani in uno vicino e i mediatori vanno avanti e indietro con le carte. Dopo la decisione di Sinwar quelle carte dovranno volare fino a Il Cairo, attraversare il Canale di Suez e il deserto del Sinai, entrare nella Striscia di Gaza al valico di Rafah e da lì immergersi nella rete dei tunnel fino a Sinwar. Dicono che ci vorrà ogni volta dai due ai tre giorni. Uno sfoggio di efficienza arrogante davanti allo spiegamento di forze nemiche. E se gli 007 avessero un microchip da nascondere nei faldoni? E se satelliti o droni seguissero i messaggeri qatarini? Sinwar ha accettato il rischio. Perché?
Un iter di tre giorni
I messaggi impiegano da Doha 72 ore tra andata e ritorno
per ottenere l’ok
Il blitz del 7 ottobre l’ha reso famoso, la sopravvivenza in una Gaza distrutta dalle bombe leggendario. Non esiste più una Hamas in esilio e una dentro i tunnel, esiste solo l’Hamas di Sinwar. Si è guadagnato il potere con la spietatezza del blitz del 7 ottobre e col coraggio di restare.
Sinwar ogni giorno che sopravvive beffa i servizi segreti più sofisticati del mondo e ogni giorno si avvicina a diventare l’ennesimo «martire» da imitare per generazioni di combattenti. È però un simbolo potente anche per Israele. Tel Aviv ha cercato di indebolirlo facendo girare la voce che era scappato in Egitto, ma se riuscisse ad ucciderlo potrebbe proclamare vittoria. E, quindi, fermare l’invasione. È paradossale: Sinwar ha vissuto per la causa della Palestina, ma oggi più la sua morte che la sua vita può aiutare i palestinesi.