Corriere della Sera, 24 marzo 2024
La tecnica della doppia spada tipica della fazione Khorasan
Dalla campagna dei mille tagli, con una serie di attacchi minori, alla stagione dei grandi attentati. Questo segnala la strage di Mosca, preceduta da quella di Kherman, in Iran. Entrambe condotte da mujaheddin dello Stato islamico nati nelle ex repubbliche sovietiche, in particolare il Tagikistan.
Il fronte europeo
Gli attentati sono gravi non solo per l’alto numero di vittime ma per il pericolo, come avverte l’esperto Riccardo Valle, che siano ripetuti su altri fronti, Europa occidentale compresa: «È solo questione di tempo». E non possiamo neppure escludere un impatto su formazioni concorrenti, a partire da al Qaeda. Con l’emulazione a fare da spinta per gesti «spettacolari» identici al raid del concerto moscovita.
Il commando aveva due Kalashnikov, una pistola Makarov, un pugnale per sgozzare, i corpetti pieni di caricatori, gli zaini e il materiale incendiario. Un video ha mostrato i terroristi sicuri, spietati nell’inseguire i bersagli inermi, facilitati da una ricognizione nei giorni precedenti. Dopo la cattura sono apparsi confusi e tremanti, ma il loro compito lo hanno svolto attuando una minaccia di lungo termine. A prescindere dalla sigla di appartenenza.
Lo Stato islamico-Khorasan – sottolinea Valle – ha dichiarato le proprie ambizioni fin dal 2020 con azioni locali e regionali per poi pensare ad un’azione globale. Per questo bisogna sempre leggere la propaganda perché è funzionale all’attività. Esempio: un’operazione contro un obiettivo cinese a Kabul è stata preceduta da oltre un anno di testi duri nei confronti di Pechino. E lo stesso vale per la Russia o i Paesi dell’Occidente ormai messi nella linea di tiro attraverso la presenza di simpatizzanti e membri, magari entrati fingendosi rifugiati.
Con un punto di contatto cruciale rappresentato dalla Turchia, ospitale con tanti musulmani in arrivo dal Caucaso, dalla Cina e dall’Asia centrale e di fatto piattaforma per numerosi movimenti.
Lo snodo turco
Da qui puoi spostarti verso Siria-Iraq, in direzione della Grecia o ancora puntare sulla Russia: uno degli attentatori ha affermato di essere arrivato dopo una sosta in territorio turco. Sempre qui ci sono raccolta di denaro, contatti operativi, rifugi. In qualche caso la Turchia diventa l’arena più facile dove spargere sangue: è stato un tagiko ad attaccare la chiesa italiana a Istanbul.
Difficile dire quanto sia ampio il controllo da parte dei vertici jihadisti, molto attenti in alcune situazioni a preservare dati. Lo Stato islamico ha oscurato nel suo video il volto degli assassini e ha usato nell’assunzione di responsabilità la definizione geografica di «soldati del Califfato russo».
Per non dare riferimenti precisi sulla «sezione» che ha pianificato la scorreria ma anche per rivolgersi a un bacino di potenziale reclutamento esteso. Forse il legame gerarchico è sottile, il comando lascia autonomia agli esecutori, riappare solo per raccogliere i frutti.
I leader
I leader non mancano. Sanaullah Ghafari, ex ingegnere, famiglia indiana, un passato nelle file del clan talebano degli Haqqani, è il capo di Khorasan. La sua specialità sono gli attacchi nelle città combinati con tattiche di guerriglia, la doppia «spada» usata con la stessa intensità dai qaedisti somali protagonisti di assalti a Mogadiscio e nel vicino Kenya.
Gli Usa hanno messo una taglia di 10 milioni di dollari su Ghafari indicandone le capacità, con affiliati dentro i confini dell’Ue o alle Maldive. Dato per morto nel 2023, sembra essere ancora al comando, artefice del piano che ha portato i suoi uomini molto lontano e ha trasformato l’organizzazione in una macchina da guerra.
In campo rivale è più defilato il ruolo di Seif al Adel, egiziano, un passato nelle unità scelte, con la predilezione per azioni su vasta scala, dirige al Qaeda. Dicono che potrebbe essere in Iran, aiutato nella gestione da collaboratori residenti in punti «caldi». Abdul Rahman al Ghamdi, sarebbe il luogotenente operativo in Afghanistan mentre un figlio di Seif è stato mandato nello Yemen dove è presente una colonna «storica» del movimento fondato da Osama. La più ostinata, in passato, nel cercare obiettivi internazionali, dalle grandi navi agli aerei passeggeri.