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 2024  marzo 24 Domenica calendario

Intervista a Giacomo Poretti

MILANO – Può un comico in pensione darsi un tempo supplementare e divertirsi come quando sbancava il botteghino coi primi film? La risposta è sì e Giacomo Poretti ne è la dimostrazione. A 67 anni, il terzo del trio formato con Aldo Baglio e Giovanni Storti ha lanciato un podcast di grande successo fra i giovanissimi, aperto un teatro in una periferia rilucente di Milano, sta per vararne un secondo, è tutte le settimane in tournée e dichiara con la luce negli occhi di vivere «una seconda luna di miele» con la moglie Daniela Cristofori, psicoterapeuta che per amore si è scoperta attrice.
Com’è possibile, Giacomo? Non si è “fatta una certa”, come dicono i ragazzi?
«Sono in pensione da un anno, come Aldo e Giovanni. Ma non sono stanco.
Il lavoro è aumentato, invece di diminuire. Paradossalmente noi tre potremmo non fare più niente, tanto è tutto su Youtube. Potremmo vivere di rendita, ma il bello è inventare cose nuove. Aldo si è trasferito in Sicilia, io non posso, ho troppi progetti, idee per andare avanti non so quanti altri anni ancora. Il tempo non mi basterà per fare tutto».
Quando un nuovo film di Aldo, Giovanni e Giacomo?
«Stiamo leggendo soggetti, sceneggiature, ma è difficilissimo essere originali, occorre valutare attentamente. A breve ci sarà un documentario nuovo su di noi, fa un po’ senso perché siamo ancora vivi.
Ma forse è venuto il momento».
Ha preso l’Oscar di via Lattanzio.
Perché aprire un teatro?
«Con Gabriele Allevi e Luca Doninelli abbiamo sentito l’esigenza di un luogo nostro a Milano. Siamo in affitto per diciotto anni dalla Diocesi.
L’abbiamo ristrutturato, è venuto bello, ma i primi due anni di pandemia sono stati una tragedia.
Adesso invece spesso riempiamo una sala da 340 posti».
Cosa avete in cartellone?
«Abbiamo fatto tre serate sold out col “Il Triduo del Giullare” in collaborazione con l’ospedale Monzino. Il titolo era “Ridere di cuore”. Abbiamo coinvolto dodici comici, tra cui Moni Ovadia, Lella Costa, Daniela Bertolino, Giovanni Storti, Paolo Cevoli, Leonardo Manera. Poi c’è stato Franco Branciaroli che ha portato dopo trent’anni “In Exitu” scritto da Testori. Con mia moglie abbiamo fatto “Nuovo condominio mon amour”, terzo spettacolo assieme».
I ragazzi adorano il suo Pore-cast perché invita i rapper.
«Sì, è molto divertente. Lo facciamo live col pubblico in sala, perché in teatro in tanti funziona meglio che in studio fra pochi. Pochi giorni fa è venuta Rose Villain, ma ho invitato anche Mondo Marcio, Guè Pequeno, Lazza, Cremonini, Confalonieri, Mentana, Mara Maionchi e vari altri».
Perché un podcast?
«A Milano ci sono cinquanta teatri, tutti con un pubblico fidelizzato. Noi dell’Oscar dobbiamo far sapere che esistiamo. Ho inventato “Versus”, format sui binomi di Milano: la Torre Velasca e il Pirellone, con Stefano Boeri e Cino Zucchi, arbitro il sindaco Sala; poi Inter e Milan, con Bergomi e Albertini; poi risotto ecassoeula con due chef; e ancora, Gaber e Jannacci con J Ax e Gioele Dix, poi Valter Chiari e Gino Bramieri».
Lei è legnanese, famiglia operaia, ha fatto il saldatore, il metalmeccanico, l’addetto alle pulizie, l’infermiere.
«Dopo la terza media sono andato in fabbrica, allora era normale. Per rimandare il militare, sono entrato in ospedale e ci sono rimasto undici anni. C’era una tale carenza di infermieri che dopo un mese mihanno insegnato a fare le punture e messo in turno. Poi ho preso il diploma, ero caposala».
Cattolico praticante, impegnato nel sociale, ha scritto quattro libri su temi profondi e personali. Il mestiere di comico l’aiuta a recuperare in leggerezza?
«Essere comico non impedisce di andare oltre la superficie.
L’umorismo è una forma privilegiata di conoscenza, istintiva, non razionale. Lo sguardo comico consente di esplorare nuovi territori.
Negli sketch di Aldo, Giovanni e Giacomo la gente vede i caratteri consolidati dei personaggi: il pignolo, lo smemorato. Nel mio caso, la fede aiuta la fantasia, la comicità serve a vedere dentro alle cose».
Com’è oggi il rapporto con Aldo e Giovanni?
«Inizialmente c’è stato l’innamoramento artistico. In tre facevamo cose strabilianti, ci divertivamo, la creatività fluiva.
Lavorando tanto assieme, è nata l’amicizia. Dopo 35 anni il rapporto è maturato. Ognuno ha percorso una sua strada parallela, senza chiudere la vicenda con gli altri due. Grazie al rispetto reciproco profondo, le liti si sono sempre risolte».
Avete litigato?
«Ci sono stati scontri perché abbiamo tre personalità importanti, siamo tutti e tre molto creativi, per forza di cose a volte si è creato l’incidente.
Mai per soldi, mai per donne, sempre per scelte artistiche, o quando abbiamo fatto degli errori».
Quali errori?
«“Fuga da Reuma Park” è stata un’operazione sbagliata, a metà fra cinema e teatro. Col senno di poi, doveva essere televisivo. Non era molto riuscito anche “Cosmo sul comò”. Per fortuna, la maggior parte delle opere è riuscita».
L’impatto col successo per uno di famiglia proletaria com’è stato?
«Impressionante per tutti. Aldo lo prendevamo bonariamente in giro, perché lui è venuto davvero su con la famiglia dalla Sicilia con le valigie di cartone. Giovanni è figlio di un tipografo. Ma abbiamo avuto il successo in età adulta, attorno ai trent’anni, e questo ci ha aiutato».
Perché?
«Non abbiamo mai frequentato ambienti vip, feste. Siamo rimasti grezzi, rozzi, abbiamo sempre rifiutato gli eccessi. La nostra salvezza è stata questo eccesso di normalità. Le nostre famiglie si sono molto frequentate fino al ’98.
Stavamo sempre assieme, facevamo vacanze-lavoro, poi gradualmente ognuno ha anche fatto cose sue. Siamo sempre in contatto, ma Aldo ormai vive in quel paradiso siciliano. Ci vediamo meno. Io andrei a vivere in montagna, ma mi piace molto anche la città. Qui c’è il figlio di 17 anni, la casa, il lavoro, gli amici».
Milano com’è?
«Bella sporca, ma le sono molto affezionato. Giro tanto con mia moglie per lavoro, l’Italia è tutta bellissima, ma qui è meglio per me».
Ha visto Crozza che ha preso in giro il sindaco Sala sulle buche?
«Anche il mio socio Giovanni fa i video sulle buche. L’asfalto è un gruviera. Sala ha le sue ragioni, ma in effetti la città è un po’ rotta.
Comunque, io ragiono in termini affettivi: mi muoverei meno possibile. Sono come Salgari, che ha scritto i libri sulla giungla senza spostarsi dal divano».