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 2024  marzo 24 Domenica calendario

Intervista a Flavio Manzoni

L a Ferrari più bella di sempre?
«La 330 P3/P4 della tripletta contro la Ford a Daytona nel ‘67: è sorprendente come una macchina progettata per vincere in pista avesse questa bellezza così sensuale».
Quella che avrebbe voluto disegnare lei?
«Amo molto il futuro e per me quella che più incarna lo spirito avveniristico è la Ferrari Modulo del 1970, ispirata alla fantascienza».
Anche lei si ispirò a quel mondo quando seguì la suggestione del nostro collega Flavio Vanetti e disegnò un disco volante.
«Più che una suggestione era stata una provocazione: mi aveva sfidato! Il modellino è lì...».
In effetti una manta bianca svetta negli scaffali dell’ufficio di Flavio Manzoni, 59 anni, nuorese, architetto e designer, tanto più adesso che l’Università di Firenze, dove si è laureato nel 1993, gli conferirà la laurea honoris causa in Design. È responsabile del «Centro stile» di Maranello, che ha progettato con il suo team nel 2010. Da allora, la Ferrari ha prodotto 66 nuovi modelli e vinto 104 premi. Tra i più prestigiosi, i Compassi d’Oro del 2014, del 2016 e del 2020, con la F12 Berlinetta, la FXX-K e la Monza SP1. Manzoni è anche nella Hall of Fame del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino.
Quando disegnava gli interni della Seat, della Lancia Y o della Volkswagen sognava la Ferrari?
«No, mai avrei immaginato che si verificassero le condizioni per arrivare qui. Devo dire grazie a Luca Cordero di Montezemolo e ad Amedeo Felisa, che hanno creduto in me».
Ricorda il primo giorno a Maranello?
«È stato come entrare in un tempio, nella leggenda».
Leggenda che sta contribuendo a scrivere. A quale dei «suoi» modelli è più affezionato?
«Difficile dire quale dei tuoi bambini preferisci. Quelli che verranno?».
Non vale. Ne scelga tre.
«La Daytona SP3 è nata come un’opera d’arte, deve poter stare bene anche in un salotto».
Un accessorio po’ costoso. Parte da 2 milioni.
«La linea di produzione è tutta artigianale, in fibra di carbonio».
Le altre due quali sono?
«La 296 GTB, che batte LaFerrari in pista. E la Purosangue».
Il «non Suv».
«È stata una sfida enorme. È una coupé a ruote alte, ti puoi divertire mentre la guidi e al tempo stesso viaggiare nel comfort con gli amici».
Che senso ha progettare auto che superano i 300 chilometri orari se il limite è di 150?
«In molti Paesi i limiti non ci sono. Il punto è il divertimento, portare l’auto al limite, magari mentre vai in montagna. Ma bisogna pensare ad altre occasioni: molti la usano solo in pista».
Quante multe prende per eccesso di velocità?
«Eh, un po’. Quando dirigevo il Centro stile della Volkswagen in Germania sono riuscito a ripulire la mia patente... Adesso va maluccio: la mia compagna vive a Firenze!».
Da bambino sognava di fare il car designer?
«No. Ero molto eclettico: disegnavo, dipingevo, suonavo il pianoforte, scolpivo. Il mio sogno era essere un artista completo, dal cucchiaio alla città, come teorizzava Nathan Rogers».
A quell’età non poteva conoscere Rogers.
«No, infatti l’ho capito crescendo. Però esprime bene la curiosità di quegli anni, incoraggiata da mio padre Giacomo, geometra: da che ero ragazzino mi faceva lavorare ai suoi progetti».
Quale successo avrebbe voluto mostrargli?
«Più che altro avrei voluto averlo accanto a me nel percorso: è sempre stato presente con i consigli, le opinioni, le critiche. Mi trattava in modo professionale, forse intravedeva già un talento».
Faccia un esempio.
«Se gli facevo vedere un mio paesaggio a olio il suo commento era: devi usare la prospettiva cromatica. Avevo 12 anni... È mancato nel 2013, quando già lavoravo in Ferrari. Era orgoglioso in modo composto, intimo, molto sardo».
Le auto quando sono arrivate?
«Nella mia testa ci sono sempre state. Andavo a dormire, sognavo una macchina, e al mattino la dovevo subito disegnare. Mio padre aveva lo studio nella terrazza, era il mio laboratorio».
Ai tempi quali macchine le piacevano?
«C’erano le dream car: la Stratos Zero di Bertone, la Ferrari Modulo di Pininfarina, la Maserati Boomerang di Giugiaro, l’Alfa Romeo Carabo di Gandini. Tutte straordinarie, ancora modernissime. Mentre sulla collana dei Quindici studiavo i disegni avveniristici di Syd Mead».
Sono stati loro i suoi maestri?
«Se devo parlare di maestri, sono stati principalmente due: mio padre e il mio professore della tesi, Roberto Segoni. E non sarei qua se non fossi nato a Nuoro: crescere in quel microcosmo mi ha permesso di sognare».
A 16 anni cominciò a mandare i disegni alle riviste specializzate.
«In realtà andò così: un giorno il fratello di mia madre venne a trovarci da Olbia. Mi disse che avrebbe incontrato a Bologna un giornalista di settore, Giorgio Piola, e mi chiese alcuni disegni che avevo fatto dai 14 ai 16 anni. Autosprint li pubblicò: fu una cosa straordinaria».
A un 16enne suggerirebbe di fare lo stesso?
Maestri
Sono stati due: mio padre e il mio professore della tesi, Roberto Segoni. E non sarei qua se non fossi nato a Nuoro. Crescere in quel microclima mi ha permesso di sognare
«No, con i social è tutto più semplice. Io stesso ricevo disegni da tutto il mondo, sul mio profilo Instagram. Il problema è che molti non si rendono conto del loro livello. Consiglio di non fermarsi alle auto: io leggevo l’enciclopedia, i libri d’arte, le biografie dei grandi designer. Questa è curiosità. Poi ci vogliono tenacia, determinazione, costanza, umiltà».
Quante Ferrari ha?
«Modellini, tantissimi. Li vede qui».
Vere...
«Due. Una d’epoca, la 308 di Magnum P.I. rossa, e una che ho avuto il privilegio di creare, la Roma, color titanio».
Nella quotidianità quale usa?
«Un’Alfa Romeo Stelvio Quadrifoglio».
Con il Centro Stile avete fatto incetta di premi.
«Quattro li abbiamo ricevuti un mese fa: gli iF Design Award e il Red Dot Design Award, categoria Best of the Best. Dopodiché i Compassi d’Oro sono importantissimi, in passato sono andati a Zanuso, Bellini, Castiglioni, Mari...».
Un premio personale?
«The American Prize: viene assegnato ad archistar e designer di fama internazionale».
La firma di Gandini è il parafango, quella di Zagato la doppia gobba. Qual è la sua?
«Credo che la firma sia una questione più filosofica, ha a che fare con i codici linguistici che un oggetto esprime. Quando mi dicono “riconosco la tua mano” per me è già bellissimo».
Ogni anno, oltre ai nuovi modelli, il Centro Stile produce un paio di One-Off.
«Sono auto molto speciali, che progettiamo, immaginiamo, realizziamo assieme al cliente: sono macchine uniche. Rappresentano l’apice del nostro programma di personalizzazione».
Una che ha amato più di altre?
«La SP38 Deborah, una delle più belle. Si chiama così dal nome della cliente, collezionista d’arte. Le One-Off costano dai 4 ai 7-8 milioni».
Ma è tantissimo!
«Non è esagerato: dietro ci sono almeno tre anni di lavoro. Sono macchine progettate da zero. Richiedono stampi ad hoc».
Personaggi famosi che sono vostri clienti?
«Stamattina mi ha scritto Swizz Beatz, il marito di Alicia Keys, super eccitato perché gli era appena arrivata la sua Daytona SP3 nera. Hugh Grant è un appassionato, anche Gerard Butler, con il quale ho pranzato di recente al mare. Keanu Reeves è una persona deliziosa».
Da bambino aveva progettato la «Casa dei sogni». È riuscito a realizzarla?
«Era un progetto audace, con sbalzi importanti, interni di design. Chiesi a mio padre: “Ma si potrà fare?”. Rispose: “Tutto si può fare”. Ho un progetto pronto per una villa qui sulle colline intorno a Maranello, ma ormai sono proiettato su Firenze, costruirò lì la casa dei miei sogni».
Un ricordo personale di Sergio Marchionne?
«Di una levatura incredibile, estremamente esigente e duro, ma con una profondità che veniva dai suoi studi di filosofia. Aveva il dono della sintesi».
È contento dell’arrivo di Hamilton?
«Molto».
Il suo pilota di sempre?
«Senna. E Niki Lauda. Tant’è che ho chiamato mio figlio Niki».
Anche lui è appassionato di auto?
«Ha 13 anni e direi di no, però gli piace disegnare sneakers. Mia figlia Claudia, invece, ha preso la triennale in Design e comunicazione visiva e la magistrale in Design sistemico. Ha una mente più manageriale».
Leviamoci un dubbio. C’è la sua mano nella nuova 500?
«Sì. Questa cosa si sa poco perché fu presentata al pubblico pochi mesi dopo il mio passaggio al Gruppo Volkswagen».
A quando una Ferrari elettrica?
«La presenteremo nel 2025».
Non è una contraddizione? La velocità andrà a farsi friggere.
«La velocità è solo un fattore, quello principale resta il divertimento nella guida. E comunque sarà un modello in più, non andrà a sostituire quelli già esistenti».
Le è piaciuto il film su Enzo Ferrari?
«Non del tutto... A mio avviso l’attore non era adatto a interpretarlo».
Perché non era italiano?
«No, è che proprio non gli somigliava, non lo restituiva al pubblico. Mentre mi è piaciuto moltissimo Rush: ho avuto il piacere di conoscere Ron Howard durante le riprese del film».
One-Off
Sono auto molto speciali, le progettiamo assieme al cliente. Per una collezionista d’arte abbiamo realizzato la SP38 Deborah. Costo dai 4 ai 7-8 milioni di euro
L’intelligenza artificiale vi ruberà il lavoro?
«Non direi. L’AI ci aiuta a raccogliere istantaneamente informazioni che già esistono. Ma il nostro sguardo è proiettato al futuro, per immaginare quello che non c’è. Qui lo facciamo ogni giorno».