La Lettura, 24 marzo 2024
Biografia di Carla Accardi
Una giovanissima ragazza siciliana, che dalla natia Trapani nell’autunno del 1946 si era trasferita a Roma, pochi mesi dopo il referendum del 2 giugno nel quale gli italiani, e le italiane per la prima volta al voto, furono chiamati a scegliere tra repubblica e monarchia: Carla Accardi (1924-2014) aveva 22 anni, e nella Capitale, dove vivrà tutta la vita, iniziò il suo lungo cammino d’artista. Un cammino che la porterà a essere riconosciuta come la Nostra Signora dell’astrattismo.
Suoi compagni di strada, al tempo, un ristrettissimo gruppo di artisti altrettanto giovani, giunti a Roma da varie parti d’Italia, i quali dichiarandosi «formalisti e marxisti» diedero vita a «Forma 1», movimento con tanto di manifesto fondativo (1947) che intendeva opporsi all’ormai stanco realismo degli anni Venti-Trenta, in direzione di un’arte non figurativa collegata a precedenti esperienze di punta in Europa. Recuperare Kandinsky, ma soprattutto la lezione del Futurismo (Balla, Severini e Prampolini in particolare) fu il loro «credo».
Carla, di quel gruppo, era l’unica donna. Al suo fianco Piero Dorazio e Achille Perilli, ventenni, Antonio Sanfilippo (che diverrà suo marito nel 1949), un anno più grande di lei, e Piero Consagra, ventisettenne. Solo Giulio Turcato, classe 1912, era di qualche anno più anziano. I loro destini individuali approderanno di lì a poco su strade diverse. Ma la portata esteticamente rivoluzionaria di quella stagione creativa nel nome della «forma» e del «colore» entrerà nelle storie dell’arte del Novecento, anche perché all’epoca quei giovani «ribelli» riuscirono a far arrabbiare (quasi) tutti: l’Italia borghese delle nature morte dietro ai divani in salotto, ma anche i vertici del Partito comunista (cui pure erano politicamente vicini) che della battaglia per il realismo in tema d’arte aveva fatto un vero dogma. Da allora Accardi di strada ne ha percorsa moltissima, sempre con una sua particolare vena di sperimentalismo che, pur innovandosi, l’ha comunque tenuta ancorata a un «segno» ancora oggi assai riconoscibile e per il quale non è azzardata la definizione di «stile».
A raccontare ora questo cammino è la mostra Carla Accardi, curata da Daniela Lancioni e Paola Bonani e allestita fino al 9 giugno nelle sale di Palazzo Esposizioni a Roma con circa cento opere dal 1946 al 2014. Un’antologica – in coincidenza con il centenario della nascita (9 ottobre 1924) e il decennale della morte (23 febbraio 2014) dell’artista – che per numero, dimensioni e importanza di opere scelte si configura come il più esaustivo omaggio dedicatole fino a oggi. Trattandosi di una retrospettiva, le curatrici hanno scelto di ripercorrere l’intera carriera della pittrice, impaginando la mostra con un percorso cronologico in grado di favorire la lettura e l’evoluzione delle sue diverse «fasi». Hanno inoltre cercato, per quanto possibile, di includere porzioni di allestimenti concepiti dalla stessa Accardi e ricavati dalla documentazione fotografica d’epoca, cosa che ha consentito di ricostruire anche la sala personale alla Biennale di Venezia del 1988 (la prima partecipazione alla Biennale di Carla fu invece, lei ventiquattrenne, nel 1948).
Ad accogliere il visitatore nei saloni di via Nazionale sono due autoritratti giovanili: un carboncino del 1942 e un piccolo olio del 1946, che precede di poco la definitiva svolta non-figurativa. È da qui che inizia il viaggio lungo un percorso creativo che dall’astrattismo dell’immediato dopoguerra, passando per l’informale, arriva ai grandi polittici degli anni Novanta e Duemila. In mezzo, tutti i temi della ricerca di Accardi, sempre ancorata alla creazione di un linguaggio segnico senza figure, narrazioni, naturalismi: prima il bianco e nero, poi la successiva apparizione del colore, la dematerializzazione del corpo della pittura – quando il supporto del quadro diventa parte integrante dell’opera stessa – e la scoperta delle superfici in sicofoil, materiale industriale plastico trasparente. Per gli «ambienti» realizzati dagli anni Sessanta, presenti in mostra entrambe le Tende realizzate da Accardi: quella del 1965-66 e la Triplice tenda (1969-71) in sicofoil dipinto, dal 2005 parte delle collezioni del Centre Pompidou di Parigi.
Oltre ad altri interventi concepiti come spazi abitabili e attraversabili — Casa labirinto del 1999-2000 e Cilindrocono del 1972-2013 – la retrospettiva ripropone anche l’installazione-ambiente Origine, opera che più di altre è legata alla militanza femminista di Accardi, presentata in questa occasione nel modo esatto in cui l’artista la concepì nel 1976 a Roma presso la Cooperativa di via del Beato Angelico, immaginandola come un percorso autobiografico attraverso i recessi della memoria. Con la Cooperativa Accardi tornò all’impegno militante anni dopo l’esperienza di «Rivolta Femminile», gruppo da lei stessa fondato nel 1970 con Carla Lonzi, amica e sodale dal 1963, una figura centrale del femminismo che per il femminismo aveva lasciato la critica d’arte (fu Lonzi a presentare la personale di Accardi alla Biennale del 1964).
L’antologica è inoltre l’occasione per ripercorrere la biografia della pittrice grazie a un apparato documentario e alle foto esposte, tra cui quelle in cui si vede Carla nella grande casa-studio di via del Babuino, con la terrazza affacciata sui tetti di Roma, dove visse dai primi anni Cinquanta: stanze che per decenni furono crocevia per decine di intellettuali amici. Da segnalare infine, in catalogo, l’antologia di scritti dedicati all’opera di Accardi, raccolta che si apre con la presentazione di Turcato per la prima personale di Carla – a Roma, nel 1950, nella galleria L’Age d’Or gestita da Dorazio e Perilli – e che prosegue con i contributi, tra gli altri, di Lionello Venturi, Palma Bucarelli, Michel Tapié, Gillo Dorfles, Germano Celant.