La Lettura, 24 marzo 2024
Il caso Gentile a ottant’anni dalla morte
A ottant’anni dalla sua uccisione per mano partigiana, avvenuta a Firenze il 15 aprile 1944, il filosofo Giovanni Gentile resta un personaggio controverso, soprattutto, ma non solo, per la sua appartenenza al fascismo. Abbiamo approfondito la questione con due docenti dell’Università La Sapienza di Roma che ne hanno studiato la vita e il pensiero: Gennaro Sasso e Alessandra Tarquini.
Che rapporto c’è tra la filosofia di Gentile e la sua adesione al fascismo? È vero che il suo pensiero influenzò anche molti antifascisti?
GENNARO SASSO — Non era certamente automatico il passaggio dalla dottrina filosofica di Gentile al fascismo. Lui fece quella scelta, ma altri, che condividevano il suo pensiero, se ne tennero ben lontani. Si possono citare tre esempi significativi. Adolfo Omodeo, storico cresciuto alla scuola filosofica gentiliana di Palermo. Poi Guido De Ruggiero, esponente dell’attualismo gentiliano, ma autore nel 1925 di una fondamentale Storia del liberalismo europeo. Da ultimo Guido Calogero, anche lui pensatore di matrice gentiliana, ma attivamente impegnato sul versante antifascista, tanto da essere arrestato dalla polizia del regime.
Quindi è infondata l’idea di un rapporto organico tra attualismo e fascismo?
GENNARO SASSO — È una tesi polemica, comprensibile nella sua genesi, che tuttavia non ha riscontro nella realtà. A divulgarla fu Benedetto Croce, che aveva individuato nell’attualismo gentiliano il pericolo dell’irrazionalismo e che su queste basi stabilì un nesso con il fascismo.
ALESSANDRA TARQUINI — Sul piano filosofico il professor Sasso ha indubbiamente ragione. Sul piano storico il problema resta. Se di sicuro non si può dedurre meccanicamente un’adesione politica da un’impostazione filosofica molto complessa, è anche vero che Gentile opera all’interno del regime, come intellettuale. Penso alla voce Fascismo scritta da lui per l’Enciclopedia Italiana Treccani: un manifesto ideologico nel quale espone una concezione religiosa della politica. Alcuni autorevoli allievi del filosofo siciliano diventano antifascisti, ma molti altri, come Ugo Spirito, rimangono allineati con il maestro a sostegno del regime. Si possono indicare contraddizioni tra le posizioni teoriche di Gentile e la sua attività in campo politico, ma l’uomo va letto nella sua interezza, in cui rientrano il pensatore, il ministro dell’Istruzione, l’organizzatore di cultura.
GENNARO SASSO — In effetti Gentile è stato il primo a proporre l’identificazione tra attualismo e fascismo nei suoi scritti. Però è anche vero che nel 1916 pubblica I fondamenti della filosofia del diritto, in cui espone una visione fondata esclusivamente sulla libertà dello spirito, estranea a quel concetto di Stato etico che giaceva come un vecchio ricordo nelle opere del filosofo ottocentesco Bertrando Spaventa. Gentile lo riattiva solo più tardi, a fascismo già affermato, nel 1933-34, in occasione di due conferenze tenute in Germania.
Forse risulta decisiva, per l’adesione di Gentile al fascismo, la sua posizione favorevole all’intervento dell’Italia nella Prima guerra mondiale.
GENNARO SASSO — Il nesso tra interventismo e fascismo emerge fortissimo nel percorso intellettuale di Gentile. Lui stesso retrospettivamente indica a più riprese nella guerra del 1915-18 e nei problemi che ne derivarono i fattori dai quali necessariamente doveva nascere il movimento delle camicie nere. Quindi, secondo il filosofo siciliano, chi si era battuto nel 1915 per l’ingresso dell’Italia nel conflitto non poteva che aderire al richiamo di Mussolini. Questa naturalmente era la visione soggettiva di Gentile: quanto rispondesse alla realtà dei fatti è un altro discorso.
ALESSANDRA TARQUINI — Gentile è uno dei più autorevoli tra i molti intellettuali italiani che vedono nel primo conflitto mondiale il compimento del moto risorgimentale, la quarta guerra d’indipendenza del nostro Paese. E il fascismo a suo avviso ne rappresenta la prosecuzione coerente: nella sua interpretazione la dittatura è una fase della storia d’Italia destinata a forgiare la coscienza nazionale che ancora mancava allo Stato unitario nato nel 1861.
Quanto era diffuso quel modo di pensare?
ALESSANDRA TARQUINI — Sono in tanti a ritenere, tra il 1914 e il 1915, che intervenire in guerra porterà giovamento al Paese. Mi vengono in mente Giuseppe Prezzolini e la grande maggioranza di coloro che con lui avevano partecipato alla rivista «La Voce». Detto questo, va sottolineato che il fascismo si appropria della guerra, la rappresenta come un’epopea dei cui valori è l’unico depositario. C’è una sorta di legame primigenio che viene a stabilirsi tra la guerra e il fascismo nell’immaginario del regime, anche sulla base di esperienze come l’arditismo e il futurismo. È la narrazione attraverso la quale si giunge a identificare la patria con una parte politica, i cui avversari vengono perciò bollati come nemici dell’Italia. Il culmine di questo processo viene raggiunto nel 1938 con le leggi razziali, che tolgono di fatto i diritti di cittadinanza agli italiani di religione ebraica.
Come si colloca Gentile a tal proposito?
ALESSANDRA TARQUINI — Non sente come un problema l’identificazione imposta dai fascisti. Sostiene un regime totalitario a partito unico che pretende d’incarnare l’Italia in esclusiva, con tutte le conseguenze che ne derivano.
GENNARO SASSO — Io ho vissuto sotto il regime e ricordo che era proprio così. Per la propaganda della dittatura essere antifascista significava automaticamente essere anti-italiano.
ALESSANDRA TARQUINI — E Gentile contribuisce a questa rappresentazione, perché ritiene che il fascismo incarni l’Italia, o quanto meno la sua parte migliore.
Si rimprovera a Gentile di aver ostacolato lo sviluppo del sapere scientifico con una riforma della scuola, varata del 1923, che era basata sul primato dell’umanesimo. È un’accusa fondata?
GENNARO SASSO — La scuola gentiliana è indubbiamente elitaria, attribuisce un chiaro primato alle materie umanistiche rispetto a quelle scientifiche, tenute per certi versi in secondo piano. E tuttavia ricordo che tanti anni fa Edoardo Amaldi, grande fisico teorico della Sapienza, mi diceva che i suoi allievi più bravi provenivano dal liceo classico gentiliano. Secondo lui era perché il latino accentua il carattere logico delle menti. Io penso piuttosto che forse una più ampia cultura favorisca anche l’approfondimento di discipline specifiche di un altro ambito.
La cultura classica merita di essere difesa?
GENNARO SASSO — Sì, in questo Gentile aveva ragione. Oggi stiamo perdendo le lingue che ci consentono di accedere al nostro passato. Il greco è stato sostanzialmente eliminato. Il latino non lo sanno più neanche i preti. Nel mondo anglosassone dilaga la cosiddetta «cultura della cancellazione». Non solo si prende di mira Cristoforo Colombo: fatto molto più importante, si sopprimono le cattedre di latino e di greco, precludendo l’accesso dei giovani alla cultura antica, alle radici del nostro mondo. In questo modo la civiltà occidentale si sta letteralmente suicidando, al di là come al di qua dell’Oceano Atlantico. Oggi è in atto uno sfacelo, sancito dal rifiuto di strumenti culturali fondamentali: stiamo diventando analfabeti e muti.
Torniamo alla riforma del 1923.
ALESSANDRA TARQUINI — È una grande sciocchezza sostenere che Gentile e prima di lui Croce avrebbero impedito la diffusione del sapere scientifico nel nostro Paese. La riforma della scuola gentiliana riflette una visione aristocratica dell’istruzione e attribuisce un ruolo portante alle discipline umanistiche. Questo è un fatto. Ma proprio nel periodo in cui era maggiore nella cultura italiana l’influenza dei filosofi idealisti, Croce e Gentile, si riscontra una fioritura della scienza. In epoca liberale sono numerosi gli scienziati in Parlamento, lo stesso fascismo s’impegna molto sul piano finanziario per sostenere lo sviluppo della ricerca e per mostrare al mondo la potenza e le capacità degli scienziati italiani, come Guglielmo Marconi e molti altri. I problemi semmai arrivano in seguito.
E cioè quando?
ALESSANDRA TARQUINI — Dopo la Seconda guerra mondiale si afferma una classe dirigente che non si sente legata a Croce e Gentile, considerati il primo un conservatore che aveva favorito l’avvento di Mussolini, il secondo ovviamente un convinto fascista. I due pensatori idealisti non svolgono certo il ruolo che avevano avuto nella prima parte del Novecento, eppure la scienza italiana non conosce i successi degli anni precedenti. Credo che il problema sia legato a quanto la politica investe nello sviluppo scientifico e tecnologico, più che all’influenza di questi due grandi intellettuali: uno morto nel 1944 e l’altro nel 1952. E, in ogni caso, non esiste storicamente un nesso tra riforma Gentile e decadenza della cultura scientifica in Italia.
Come giudicare l’operato di Gentile alla guida della Enciclopedia Treccani? Davvero si mostrò molto aperto al contributo di studiosi antifascisti?
GENNARO SASSO — Gentile fu certamente tollerante verso alcuni collaboratori della Treccani, anche molto importanti sul piano quantitativo e qualitativo, che non erano fascisti o addirittura erano avversi al regime. Parecchi di loro erano suoi allievi e lui ne conosceva bene gli orientamenti, ma faceva finta di niente e li chiamò lo stesso a portare il loro contributo. La questione diventava più delicata quando si trattava di scienze non filosofiche, ma religiose, come dimostra il caso di Adolfo Omodeo.
Vogliamo approfondirlo?
GENNARO SASSO — Omodeo, storico laico del cristianesimo, scrisse voci di argomento religioso per la Treccani. Alcune vennero pubblicate, ma altre furono sottoposte alla censura preventiva dei gesuiti, in particolare di padre Pietro Tacchi Venturi, che obiettarono circa la conformità del contenuto alla dottrina cattolica. Omodeo diede allora le dimissioni dal suo incarico alla Treccani e Gentile a malincuore fu costretto ad accettarle in ossequio a un governo che aveva concluso i Patti lateranensi con la Santa Sede.
Insomma, c’erano spinte contraddittorie?
GENNARO SASSO — Che l’Enciclopedia fosse un centro di antifascismo è falso. Ma al suo interno lavoravano persone di quell’indirizzo: oltre a Omodeo si possono ricordare il già citato Calogero e Gaetano De Sanctis, uno dei pochissimi professori universitari che non giurarono fedeltà al regime nel 1931. La bonomia di Gentile e la sua predilezione per la libertà di pensiero favorirono queste aperture, che però non vanno troppo enfatizzate.
ALESSANDRA TARQUINI — La realizzazione dell’Enciclopedia è fortemente voluta dal fascismo e nell’insieme le voci dell’opera, specialmente quelle che hanno una ricaduta più immediata nell’ambito ideologico-politico, sono assolutamente rispondenti ai dettami del potere. D’altronde non è possibile sotto un regime totalitario, come quello mussoliniano, esprimere un dissenso politico.
E Gentile?
ALESSANDRA TARQUINI — Il filosofo siciliano non solo non è una sentinella della libertà, ma è un garante dell’ortodossia. Quando nel 1925 sul quotidiano fascista «Il Tevere», diretto da Telesio Interlandi, scoppia una polemica contro l’Enciclopedia, considerata un’opera di alto valore scientifico, ma troppo poco in linea con l’ideologia del regime nascente, Gentile rassicura Mussolini sul fatto che da quel punto di vista non c’è nulla da temere. D’altronde, per quanto riguarda il mondo accademico, uno degli ideatori del giuramento di fedeltà al regime, imposto ai docenti universitari nel 1931, è proprio Gentile. Si tratta di una figura che tiene insieme l’aiuto prestato a persone stimate e benvolute con un’opera politica e di organizzazione culturale che esprime un convinto sostegno alla dittatura.
Come possiamo spiegare l’adesione di Gentile alla Repubblica sociale italiana? Non avrebbe potuto mettersi da parte, come fece, per esempio, l’insigne storico fascista Gioacchino Volpe?
GENNARO SASSO — Il filosofo siciliano scelse consapevolmente di schierarsi con la Rsi e pagò con la vita. Per capire le ragioni della sua decisione bisogna guardare al momento di incertezza che l’Italia attraversa tra il 25 luglio e l’8 settembre 1943 e poi alla fase che segue l’armistizio, quando si pone la questione di come comportarsi rispetto al ritorno in sella di Mussolini sulla scia dell’occupazione tedesca.
Qual è l’atteggiamento di Gentile in quei giorni?
GENNARO SASSO — Bisogna innanzitutto considerare che il filosofo non è certo repubblicano, anzi il suo orientamento è fermamente monarchico, proprio come quello di Gioacchino Volpe. Nel Discorso agli italiani che tiene a Roma in Campidoglio il 24 giugno 1943, Gentile esalta Mussolini, ma fa anche un riferimento esplicito a Vittorio Emanuele III come il re della vittoria nella Prima guerra mondiale. Subito dopo la caduta del Duce, il pensatore siciliano si ritira in campagna, dove scrive la sua ultima opera, Genesi e struttura della società. Poi riceve la visita del ministro dell’Educazione nazionale della repubblica di Salò, Carlo Alberto Biggini, che gli trasmette l’invito di Mussolini a incontrarlo sul lago di Garda. In seguito a quel colloquio con il Duce, Gentile si schiera con la Rsi.
Una decisione che non era scontata?
GENNARO SASSO — Non lo era affatto. C’è una famosa lettera di Gentile alla sua figlia primogenita, Teresa, che è da questo punto di vista un documento impressionante. Qui si vede la dura lotta interiore che il filosofo affronta fino a convincersi che è impossibile per lui non aderire al fascismo repubblicano, perché a quella meta lo conduce la coerenza con il resto della sua vita. Si tratta insomma di una decisione profondamente sofferta e travagliata, di cui conosciamo le terribili conseguenze.
ALESSANDRA TARQUINI — Ancora oggi ci turba il pensiero di quell’adesione alla Rsi pagata con la vita. Gentile vuole rimanere fedele a un impegno cominciato nel 1922, quando entra nel primo governo Mussolini. E d’altronde il suo discorso del giugno 1943, che pure scontenta anche molti fascisti, è del tutto interno alla logica del regime, non avanza alcuna riserva circa l’alleanza con la Germania nazista. Certo, Gentile è monarchico, ma in lui pesa anche il rapporto personale con Mussolini, che contribuisce a persuaderlo che non può tirarsi indietro rispetto alla richiesta di portare il suo contributo alla Repubblica sociale.
Non avrebbe potuto astenersi dall’assumere una carica di primo piano come quella di presidente dell’Accademia d’Italia della Rsi?
ALESSANDRA TARQUINI — Si dice che la storia non si fa con i se, ma io credo che avanzare delle ipotesi circa quanto sarebbe potuto accadere possa essere utile, perché la storia non esprime uno sviluppo deterministico e dipende anche dalle scelte dei singoli. Nel caso di Gentile ritengo che si debba riconoscere la linearità di un percorso che il filosofo aveva intrapreso molti anni prima e dal quale non si distaccò nemmeno nelle circostanze più tragiche.