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 2024  marzo 24 Domenica calendario

Sull’assassinio di Gentile

Renzo De Felice si chiese: «Si riuscirà a sbrogliare il nodo storico che si è aggrovigliato intorno all’assassinio di Giovanni Gentile?» (Rosso e Nero, a cura di Pasquale Chessa, Baldini&Castoldi, 1995). Dopo trent’anni da questa domanda e ottanta dall’agguato mortale il 15 aprile 1944, la situazione non è mutata: si continua a sovrapporre la ricerca storica e la discussione ideologica, concependo Gentile come l’incarnazione del Pensiero tradotto in Azione con l’avvento del fascismo, mentre ricostruzioni diverse dalla vulgata vengono criticate perché sarebbero finalizzate alla riabilitazione del filosofo. Una svolta avvenne con il libro La sentenza di Luciano Canfora (Sellerio, 1985), studio rigoroso, ma che non fu degno neppure di una segnalazione da parte de «l’Unità»: il riferimento al coinvolgimento dei servizi segreti britannici era troppo rivoluzionario.
La vulgata si costituì sulla base di due testi firmati con pseudonimi: il primo, sui Gap (Gruppi d’azione patriottica, partigiani comunisti) fiorentini, apparso su «Rinascita» nel 1945; il secondo, su «come e da chi fu ucciso», sul settimanale di destra «Brancaleone» nel 1947. L’evento di partenza fu il Discorso agli italiani che Gentile tenne al Campidoglio il 24 giugno 1943 (un invito alla «pacificazione nazionale: un’idea improbabile come soluzione, in quello scorcio del biennio tragico, improponibile come obiettivo», secondo De Felice). Poi Gentile lasciò Roma e in ottobre si trasferì a Firenze come presidente dell’Accademia d’Italia della Rsi. Andò ad abitare con la famiglia nella villa di Montalto, al Salviatino, nella periferia della città. Il 15 aprile un Gap, composto da cinque uomini, attese davanti alla villa che Gentile ritornasse dall’Accademia. Verso le 13.30 arrivò l’automobile. Il comandante Bruno Fanciullacci e un altro gappista (Giuseppe Martini, di cui era stato divulgato solo il nome di battaglia fino ai primi anni Ottanta) colpirono a morte il filosofo. Poi venne diffuso un manifesto, a nome di tutto il Comitato toscano di liberazione nazionale (Ctln), in cui si rivendicò l’esecuzione, ma il Partito d’Azione protestò perché non avrebbe mai approvato la decisione dell’uccisione se fosse stato informato.

Perché fu presa quella risoluzione? La risposta è scontata: Gentile era intervenuto pubblicamente con articoli e discorsi che ribadivano la sua adesione al fascismo repubblicano. Fatale fu il discorso del 19 marzo per la commemorazione di Giambattista Vico, con l’apprezzamento del «condottiero della grande Germania» (Hitler), e il conseguente duro attacco da Radio Londra. Infine la causa scatenante: la fucilazione di cinque renitenti alla leva a Firenze il 22 marzo. Ma non vi è traccia di quest’ultima motivazione nella Relazione sui Gap fiorentini nella sua versione integrale («Quaderni di storia», 2016, n. 83), mentre nel testo manipolato, circolato per decenni, si fa solo un breve riferimento alla sentenza eseguita nei confronti del «filosofo fascista». Forse, per dipanare il groviglio di omissioni e reticenze, sarebbe d’aiuto il fascicolo «Omicidio Gentile», con i documenti dell’Ufficio politico della Questura di Firenze, ma esso è sparito, probabilmente subito dopo la liberazione della città l’11 agosto 1944. Il tribunale di Firenze chiuse il caso il 18 dicembre 1944 «per essere ignoti coloro che lo [omicidio volontario premeditato] hanno commesso».
Riguardo ai mandanti, basti ricordare che Martini, in un’intervista dello storico Paolo Paoletti nel 1996, disse che la decisione non era stata presa dal suo Gap («eravamo troppo giovani per conoscere l’importanza politica di Giovanni Gentile. Per noi Gentile era uno che doveva essere eliminato e tanto ci bastava») e che l’ordine era arrivato «da più in alto», più in alto rispetto al comando dei Gap fiorentini. È un’area grigia (relativa non tanto al «perché», ma a «chi dette l’ordine?») rispetto alla quale si sono riscontrati silenzi e contraddizioni. Inoltre va tenuta presente la posizione esplicita di figure autorevoli, come il filosofo, ed ex senatore del Pci, Cesare Luporini (1989: «Io ho ragioni che non si possono dire qui, perché, perché… parte toccano cose che forse ancora non si possono dire, ma molto precise») o Liliana Benvenuti, la leggendaria staffetta partigiana fiorentina (2012: «È diversa la storia dell’uccisione di Gentile (…) è una cosa che non dirò mai. Perché potrei fare rovesciare tutte le cose. Perché non è come è stato detto (…) come è andata l’azione dei Gap dell’omicidio di Gentile io non lo voglio dire. Assolutamente»).
La cupola che diresse l’operazione al Salviatino ebbe componenti diverse, italiane e internazionali. L’ordine di uccidere Gentile partì probabilmente da Radio Bari, diretta dall’agente britannico Ian Greenlees (amico del filosofo Mario Manlio Rossi a cui Gentile, mostrandogli l’ultima sua opera Genesi e struttura della società, avrebbe detto: «I vostri amici, ora, possono uccidermi se vogliono. Il mio lavoro di tutta una vita è finito»). Poi va considerato un ambiente cosmopolita, se si nota che Alessandro Sinigaglia, il capo dei Gap fiorentini fino al febbraio 1944, abitava nella villetta del direttore d’orchestra Igor Markevitch, anni dopo evocato come il «grande vecchio» delle Brigate rosse. E forse anche qualche fascista di rilievo, ne era convinto l’azionista Carlo L. Ragghianti. Furono implicati pure i servizi segreti militari badogliani, come dimostra un documento («Quaderni di storia», 2021, n. 94) per cui il Fronte militare clandestino di Roma, diretto dal colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo prima che morisse alle Fosse Ardeatine, fu informato che Gentile sarebbe stato ucciso il 2 aprile «in circostanze tali da legittimare ogni supposizione», una classica operazione di intelligence depistante che fu rimandata a qualche giorno dopo. Gentile: un personaggio scomodo per cui si mise in moto un intreccio di servizi alleati, militari italiani e gappisti che ricorda lo scenario di via Rasella (23 marzo) tracciato da Carlo M. Fiorentino in L’armata delle ombre (Leg, 2022).
La Fiat 1100, su cui fu ucciso Gentile, fu trasferita nella nuova sede dell’Accademia d’Italia dal luglio 1944 a Villa Carlotta sul lago di Como. Requisita dai partigiani al comando di «Pedro» (il conte fiorentino Pier Luigi Bellini delle Stelle), fu usata per trasferire Benito Mussolini e Claretta Petacci sul luogo dell’esecuzione a Giulino di Mezzegra il 28 aprile 1945 e poi per trasportarne i corpi fino al camion diretto a piazzale Loreto. Comunque siano andate le cose che «ancora non si possono dire», Gentile e Mussolini rimasero legati simbolicamente, prima vivi e poi cadaveri, anche nel loro ultimo viaggio sulla medesima auto.