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 2024  marzo 23 Sabato calendario

La Germania divorzia dalla “sua” Adidas


La Nike ha fatto le scarpe all’Adidas. Dopo settant’anni di onorata sponsorizzazione e spirito identitario sulla maglia della nazionale tedesca, il marchio delle tre strisce viene spazzato via da un colpo di vento (swoosh ). Gli americani beffano i tedeschi in casa loro, raddoppiando la posta: 100 milioni di euro netti all’anno dal 2027 al 2034 (almeno), contro i 50 che versava Adidas. Impossible is nothing?
Mica tanto.
Attenzione, qui non si tratta solo di logo ma piuttosto di logos, perché quelle tre strisce sono sempre state il verbo, una sorta di vangelo laico incarnato da Die Mannschaft, lo squadrone vincitore, con Adidas, di quattro Mondiali e tre Europei. A pochi mesi da Euro 2024 proprio in Germania, la notizia scavalca le colonne d’Ercole del commercio per disorientare opinione pubblica, tifosi e mondo politico. E se il cancelliere Olaf Scholz sceglie la diplomazia («Conta solo che la nostra squadra segni tanti gol»), un paio di suoi ministri la fanno più tragica. «Non riesco a immaginare la nostra maglia senza il nero/rosso/oro e senza Adidas, è una questione di identità». ha detto infatti Robert Habeck, vice cancelliere e titolare del dicastero dell’Economia. «Il commercio distrugge la tradizione, è una decisione sbagliata e spietata», rincara la dose Karl Lauterbach, ministro della Sanità. Tutto per tre strisce con una riga sopra.
Perché togliere l’Adidas alla nazionale è come cancellare un’epopea, o almeno sporcarla. La prima Coppa Rimet della Germania fu infatti vinta, nel 1954 a Berna, con un prototipo di scarpa a tacchetti svitabili e regolabili: sul fango di una memorabile finale contro i maestri ungheresi, che dopo otto minuti erano già sul 2-0, i tedeschi restarono in piedi e realizzarono la rimonta sotto il diluvio, calciando il primo pallone impermeabile della storia e chiudendo sul 3-2, forse un po’ dopati, di certo assai aiutati dalla tecnologia “tedesca di Germania”.
Sembrano solo tre strisce, invece sono un romanzo. Quello di Adolf e Rudolf Dassler, i figli del calzolaio Christoph e della lavandaia Pauline, che si misero a cucire scarpe sportive nel retro della lavanderia. Nel 1924 fondarono la “Gebruder Dassler Schuhfabrick”, ovvero la “Fabbrica di scarpe dei fratelli Dassler”: Adolf “Adi” progettava, e Rudolf “Rudi” vendeva. Tutto bene fino a quando litigarono su chi avesse davvero inventato i tacchetti, lì nella cittadina bavarese di Herzogenaurach. Si divisero nel 1947. Adolf fondò l’Adidas (cioè “Adi”, un pezzo del nome, più “das”, un pezzo del cognome) e Rudolf creò la “Ruda” che presto divenne Puma. Due colossi sportivi sulle opposte sponde del fiume Aurach. Caino e Abele si odiarono fino alla morte, e le loro tombe sitrovano nei punti più distanti del cimitero.
Tutto questo per comprendere meglio il senso di una notizia che è storia e costume per una nazione intera. Adidas (e Puma, più in piccolo ma non tanto) hanno rappresentato ricerca tecnica e spirito teutonico. Il più leggendario pallone della storia è quello di Messico 70, si chiamava Telstar e lo produsse Adidas: 12 pentagoni neri e 20 esagoni bianchi tra i piedi di Pelé, che beffardamente eraun uomo Puma. Lo era anche il sublime Cruyff, che nella finale mondiale del 1974 “taroccò” da sé la maglia dell’Olanda, sponsorizzata Adidas, coprendo col nastro adesivo una delle tre proverbiali strisce. Oggi gli avvocati lo spolperebbero vivo, allora lui era il dio del calcio e basta. Anche se quella Coppa, alla fine, se la presero i tedeschi, con le tre strisce e tutto.
Come si capirà è una faccenda nazionale, anche se non più, e per fortuna, nazional socialista (i fratelli Dassler erano nazisti acclarati, soprattutto Rudolf): e qui vale la pena ricordare l’attorcigliamento del destino che nel 1936 portò Jesse Owens a vincere quattro medaglie d’oro olimpiche nello stadio di Berlino, calzando le scarpette chiodate dei Dassler, di fronte a un umiliatissimo Hitler. Il vento fa il suo giro.
Comunque sia, darsi agli americani dopo oltre 70 anni per denaro è un colpo all’onor patrio, anche se la DFB, la Federcalcio tedesca, ha spiegato che con 800 milioni si occuperà alla grande di 24 mila squadre, due milioni e 200 mila calciatori e calciatrici, e 55 mila arbitri: un’onda che attraverserà i continenti fino al mondiale globale del 2034. Per quelle tre strisce che un giorno indossò anche Fidel Castro, incontrando papa Francesco, è una rivoluzione perduta. Ma la Nike se ne fa un baffo.