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 2024  marzo 23 Sabato calendario

Intervista a Giovanni Scifoni

“Quando frequentavo l’Accademia, per molti insegnanti il teatro era sofferenza, elucubrazione, tormento; poi per fortuna ne ho trovati altri che ci hanno spiegato il ‘gioco’. Hanno inquadrato il palco come liberazione dai costrutti mentali”. Giovanni Scifoni i suoi costrutti li ha liberati, ha sedimentato le lezioni e permesso ai germogli attoriali di cercare il sole. Oggi, per lui, il sole è anche il ruolo da protagonista in Aggiungi un posto a tavola nel cinquantenario dell’evergreen di Garinei e Giovannini. Con accanto Lorella Cuccarini.
Quali erano i suoi costrutti mentali?
Sono arrivato in accademia che sembravo Mowgli…
Tradotto?
Camminavo gobbo, a lezione mi scaccolavo i piedi, i capelli sporchi. Una bestia.
In famiglia contenti.
Siamo sei fratelli, i miei non potevano seguire tutto; (sorride) entro in Accademia e mi spiegano che l’attore è un soggetto composto, ordinato, che scandisce le finali; io speravo altro.
Cosa?
In atti creativi, fantasiosi. Loro preoccupati. Così un giorno ho domandato: ‘Perché mi avete preso?’.
Risposta?
‘Eh, infatti’.
È neocatecumenale: questo percorso ha vincolato quello artistico?
All’inizio solo per le mie pippe mentali; temevo che la professione dell’attore non si conciliasse a quella spirituale, credevo che fosse reale lo stereotipo dell’artista genio e sregolatezza.
E invece?
Spesso quello stereotipo ha generato tanta sregolatezza e pochissimo genio. Oggi non regge più.
Averne di attori “sregolati” come Fantastichini, Bucci o Volonté…
Sono alcuni; mentre gli altri hanno creduto che bastasse la sregolatezza per risultare geni.
Risolte le pippe mentali, cosa ha capito?
Che ogni artista porta sul palco o sullo schermo il proprio pezzo di mondo.
Che ruolo non interpreterebbe mai?
Quello di un violento contro i deboli; non ci riuscirei perché non fa parte di me, della mia struttura; (pausa) da ragazzino vivevo in un quartiere romano ai limiti della periferia, e quando tornavo a casa, da solo, spesso ero costretto a correre per evitare guai. Una volta un gruppo mi prese, mi strattonarono, mi buttarono in un cassonetto, ma di quel giorno ricordo solo il terrore del contatto fisico.
A teatro ha lavorato con Paolo Poli.
Esperienza che mi ha cambiato molto. Terribile.
Addirittura.
Esco dall’Accademia, convinto di possedere certi strumenti artistici. E mi trovo dentro uno spettacolo dove il protagonista assoluto è Poli, con le sue follie e i suoi tormenti verso di me.
Cioè?
Ripeteva che non ero bravo: ‘Hai belle gambe, ti manca solo il talento’.
Una provocazione per farla crescere?
No, non aveva fiducia. Ma ho retto due anni. E dopo due anni, all’ultima replica, si è avvicinato e ha cambiato registro: ‘Sei un po’ migliorato’.
C’è un “però”?
Poli sulla scena era un mostro di bravura e alla fine mi ha trasmesso tantissimo. Come attore gli devo tanto.
Che attore è?
Molto barocco. Accumulo.
Va di moda la sottrazione.
Io inzeppo, temo il vuoto.
Ha recitato con Proietti.
Con Gigi sembrava tutto semplice, in apparenza era avvolto da una tranquillità totale; (sorride, a lungo) abbiamo lavorato otto anni assieme, e ogni volta mi salutava con ‘ciao core’, perché non ricordava il mio nome.
Possibile?
Con lui eravamo tutti ‘ciao core’, ma generava un clima talmente positivo da estrarre da ognuno il massimo. Con Gigi ho lavorato solo in tv e cinema.
Per Popolizio, tv e cinema sono il suo bancomat. Il teatro è altro.
Anche per me, ma grazie a Dio ho recitato pure in film e serie belle come Doc.
Doc è un successone.
È bellissimo, mi diverto, mi commuovo, ci voglio arrivare alla pensione.
Si commuove?
In alcune scene piango; poi tra di noi c’è un clima incredibile e Luca (Argentero) è super.
Un clima surreale…
In gran parte grazie a Luca: lui è uno serio e non vuole problemi, bisogna rigare dritto.
Un leader.
Ammazza! Un condottiero.
In carriera ha pronunciato molti “no”?
Molti sì; ho recitato in tante porcherie, ma perché mi sono sposato presto e presto ho avuto figli.
Tra i migliori “sì” c’è Don Matteo…
Dove sono stato accanto a Terence Hill, persona unica, un folletto metafisico; una delle più belle persone mai incontrate.
Se nel copione c’è una bestemmia, la pronuncia?
Certo, fa parte dell’essere umano pure se non mi appartiene.
Scene di sesso?
Mai girate e le considero un doping: servono a generare un’emozione in modo facile.
Lei chi è?
Una persona distratta, che perde il treno, ma è curiosa.