ItaliaOggi, 23 marzo 2024
Periscopio
Dall’invasione dell’Ucraina alla minaccia della Russia, dall’allargamento dell’Ue ai Balcani alla guerra in Medio Oriente, la natura esistenziale delle sfide è sempre più chiara ai governanti europei. (…) Lo scenario non potrebbe essere più fosco. Nathalie Tocci, La Stampa.Putin vuol ricostruire il puzzle sovietico. E purtroppo sono molti i suoi sottoposti (non solo in Russia) (…) che plaudono a questo disegno che, se si realizzasse, sarebbe terribile per centinaia di milioni di persone. Noi fra i primi. Diritto & Rovescio (ItaliaOggi)
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Che l’Ue si debba preparare alla guerra mi sembra ovvio visto che un conflitto è già in corso. Non chiamerei però «economia di guerra» un aumento della spesa per la difesa verso e oltre il 2% del Pil. Negli Anni ’80, senza conflitti aperti, spendevamo molto di più per la difesa. Dal punto di vista economico ci sarebbe un impatto modesto. Di contro, parlare d’economia bellica per la Russia è assai più pertinente. Per noi europei si tratterebbe di fare uno sforzo che è equivalente a un decimo di quello che fa Mosca. Daniel Gros, economista (Fabrizio Goria, La Stampa).
Il ragazzo che ha fatto «il gesto della pistola» al Senato contro Giorgia Meloni non rappresenta un fenomeno solo italiano. (…) A soffiare sul fuoco della rabbia giovanile ci sono gli ideologi di sempre. Quando il 7 ottobre 2023 Hamas ha trucidato ebrei, massacrato bambini e violentato donne (…) era subito scattata la solidarietà con i terroristi. (…) A dividere il mondo in buoni e malvagi, vittime e persecutori, sfruttati e sfruttatori, sono prima di tutto gli adulti che indottrinano le nuove generazioni. A un italiano può sembrare sconcertante il rispetto di cui gode Toni Negri in alcune facoltà d’élite degli Stati Uniti. Federico Rampini, Corriere della Sera.
[A proposito dell’edito razziale cosiddetto «antisionista» votato dal Senato accademico di Torino] io innanzitutto mi chiedo se il Rettore non dovrebbe dimettersi. [E] parlerei di antisemitismo conclamato, più che strisciante. Anche se, a mio parere, quello cui siamo di fronte non è semplice antisemitismo, ma una forma inedita di razzismo, che perseguita – o invita a perseguitare – le persone non per gli atti di cui sono responsabili, ma per i loro caratteri ascritti: etnia, nazionalità, sesso. È la fine della civiltà liberale, che era basata sulla tolleranza, e sul principio di responsabilità personale. Luca Ricolfi (Lodovico Poletto, La Stampa).
Il Pci era figlio legittimo e somigliante del Togliatti che negli anni Trenta liquidava come socialfascisti quanti volevano combattere la dittatura di Mussolini senza sposare la causa della tirannide staliniana. Quel Pci era anche il padre naturale di tutto il progressismo secondo-repubblicano, in cui ogni disallineamento dalla logica neofrontista ha guadagnato a oppositori e riluttanti l’accusa di tradimento. Oggi nello schieramento «progressista» scarseggiano i marxisti ortodossi, invece abbonda un rossobrunismo perfettamente incarnato dai Giuseppe Conte, dai Marco Travaglio e dai Michele Santoro. (…) È impressionante quanto somigli a quello togliattiano, berlingueriano e dalemiano l’atteggiamento sprezzante del Pd verso i nuovi pezzenti, che vorrebbero ingombrare le magnifiche sorti e progressive del Campo Largo. (…) È finito il comunismo, è finito il Pci, è finita la Prima Repubblica e pure la Seconda (…) ma il complesso del Migliore non è finito. Vero e indistruttibile monumento al passato peggiore di una sinistra distrutta. Carmelo Palma, Linkiesta.
Quando Salvini sostiene, come ha fatto l’altro ieri, che confida in una vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane di novembre perché porterebbe la pace, piccona il rapporto tra il governo e la Casa Bianca di Joe Biden. «Non nascondo che, con tutto me stesso», dichiara, «spero vincano i repubblicani». Massimo Franco, Corriere della Sera.
Il «Piano B» di Giorgia Meloni ha un nome e cognome: Viktor Orbán. (…) Se le elezioni europee non andassero sufficientemente bene per il suo partito e soprattutto se Donald Trump vincesse la corsa presidenziale a novembre, lei avrà bisogno di nuove sponde internazionali. Claudio Tito, Repubblica.
[Nicola Gratteri, procuratore di Napoli, dice che] se «in un film di un’ora ci sono cinque minuti dove non c’è un insegnante, un poliziotto, un carabiniere, un finanziere, un prete, un magistrato allora quella non è arte». Può darsi che le serie cui fa cenno non siano arte, ma non certo perché non sono pedagogiche. (…) La missione pedagogica o etica dell’arte appartiene solo ai regimi totalitari. (…) Nel momento in cui Gratteri intima agli artisti di pensare alle conseguenze delle loro opere, Gratteri abolisce l’arte [che] a quel punto non è più arte ma catechismo. Fortuna che, almeno fuori dalle aule di tribunale, il giudizio di Gratteri conta niente. Mattia Feltri, La Stampa.
Di recente, negli Stati Uniti, alcuni scienziati notoriamente atei sono arrivati ad ammettere l’esistenza di un’Intelligenza creatrice che ha dato vita al cosmo e all’uomo. rivista.vitaepensiero.it
Qualcuno scrive che molti scienziati prendono l’argomento del disegno intelligente sul serio. Non è vero. C’è qualche scienziato che dà credito a simili argomenti, ma si tratta di sparute eccezioni, spesso motivate da un sincero – ma maldestro – tentativo di difendere le rispettive lealtà religiose. La pressoché totalità degli scienziati considera l’argomento del disegno intelligente sbagliato. Carlo Rovelli, scienziato, e Giuseppe Tanzella-Nitti, teologo e sacerdote (Corriere della Sera).
Quando Konrad Ferdinand Meyer descrisse una fontana romana e Rainer Maria Rilke una pantera in gabbia non fornirono semplicemente una rappresentazione della realtà. Intravidero l’universo. Ludwig von Mises, Teoria e storia, Rubbettino 2009.
Alla vigilia dei 150 anni dalla nascita di Luigi Einaudi è persino stucchevole misurare la distanza tra lo statista piemontese, grande economista nonché primo presidente eletto della Repubblica, e l’attuale classe politica. (…) Salvo le solite rare eccezioni, l’eredità einaudiana si è dispersa. Stefano Folli, Repubblica.
Un piemontese piccolo di statura, economista insigne e produttore di vino pregiato. Roberto Gervaso