Tuttolibri, 22 marzo 2024
Una commedia scritta da Luca Ronconi
Guerra ed estate si intitola il dramma che Luca Ronconi scrisse nel 1956, quando era solo attore, e che quell’anno stesso fu rappresentato, una volta sola, in forma di lettura scenica, da diciotto interpreti più un diciannovesimo, Franco Parenti, addetto a dire le didascalie (procedimento recuperato, tanti anni dopo, nella geniale messinscena del Pasticciaccio di Gadda).Prima di scendere nell’oblio, il lavoro fu poi pubblicato sulla rivista Filmcritica con un viatico di Luigi Squarzina, che a suo tempo aveva fatto debuttare sul palco Ronconi ancora studente all’Accademia. Oggi lo si sfoglia con interesse, non tanto perché contenga anticipazioni del regista ancora in fieri, ma piuttosto perché fa pensare a un commiato da tutto quel teatro che costui dopo essersene nutrito avrebbe guardato da innovatore. L’impianto è ostentatamente tradizionale, tre atti, situazione che come in Cechov emerge lentamente dai dialoghi tra persone che sembrano parlare del più e del meno, in un ambiente che è sempre la stanza dove la comunità si riunisce. Nel primo atto e nel terzo questa stanza è in una villa sui colli del Garda, prima intorno al 1944, poi dieci anni dopo. L’atto centrale è diviso in due episodi, stavolta nello stesso salotto veneziano, uno intorno al 1950, l’altro due o tre anni dopo. Come nella più classica commedia bien faite, si comincia con un dialogo tra cameriere che si dicono cose di cui bisogna informare il pubblico. Le padrone, due sorelle, sono ancora a tavola. Si gioca a pinnacolo con un corteggiatore della minore. Sopraggiunge una visitatrice loquace e importuna. Rincasa il marito della sorella maggiore, un industriale ligio al regime, boicottato dagli operai. Entra il fidanzato segreto della sorella minore, un ebreo che la famiglia protegge. Arriva un gerarca locale, che malgrado la recente esecuzione di molti partigiani non si fa illusioni sul vento che cambia, e si congratula con i suoi ospiti perché nascondendo un ebreo si garantiranno la benevolenza del nuovo regime. Nello sfondo, rumori di guerra, compresi, davanti alla villa, gli spari dell’uccisione di due uomini. Nel secondo atto la guerra è finita e ai detti si aggiungono volti nuovi. Siamo nel salotto di una ricca signora mondana, in clima di ritornata normalità, o quasi. Il gerarca, ora ex tale, è lì come se niente fosse; il marito industriale connivente invece è in carcere, ma uscirà presto. C’è un prestante ragazzone che sogna di andare oltreoceano ma che la padrona di casa concupisce. C’è una aspirante attrice mantenuta dall’ex gerarca e ritratta da una pittrice americana. C’è l’ebreo che si è salvato e che ora sta per riciclarsi come prospero avvocato difensore di criminali del regime...La vicenda è complessa, sviluppata senza fretta e per cenni obliqui, e tutt’altro che scontata, anche se per arrivare a un finale ci vogliono colpi di grancassa come un incidente d’auto e una tragica notizia dal Nuovo Continente. Si legge con profitto, anche se con un po’ di fatica. Per rendere riconoscibili i molti personaggi ci vorrebbe, appunto, la mano di un Cechov, e Ronconi sdegna di imitare Pirandello, che si contenta di caratterizzarne un paio e di farli circondare da marionette. L’edizione è arricchita dalla puntigliosa cura di Giovanni Agosti, che rievoca la carriera di Ronconi attor giovane, flirt etero compresi, a partire dal suo debutto diretto dal surricordato Squarzina. Qui manca, ma perché è fin troppo nota, la foto dell’esordiente in tonaca di seminarista che pugnala Vittorio Gassman. In compenso ci sono altre immagini assai rare e ghiotte, come Ronconi e Gianmaria Volonté antichi romani in un polpettone di Giorgio Prosperi. Le notizie si spingono fino al periodo della prima regia del nostro, un Goldoni con Volonté, Ilaria Occhini, Corrado Pani. Agosti registra per dovere di ufficio la recensione di Alberto Arbasino, che lo sbeffeggiò. Lui non può averlo visto – all’epoca aveva due anni – ma io sì, e posso testimoniare che il censore, tutto teso a sfoggiare la propria superiorità sui propri contemporanei in fatto di gusto, cultura e aggiornamento, aveva torto marcio. Purtroppo gli spettacoli muoiono, e scripta manent.