la Repubblica, 22 marzo 2024
Intervista a Tronchetti Provera
Dottor Tronchetti Provera, andiamo verso le elezioni europee, nel mondo imprenditoriale si sente dire che l’Europa deve cambiare passo. Come vede lei la situazione?«L’Europanonèriuscitafinoraa mettereafattorcomunetuttelesue risorse.Hailmercatopiùriccodel mondoe440milionidipersoneconla miglioreprotezionesocialealivello globale.Iltuttofondatosuivaloridi culturaedemocraziachesonoallabase dellanascitadellaUe.Almomento, però,nonc’èunprogetto,masolo qualchedebolesegnalesulfrontedella difesacomuneedellapoliticaestera.Chi vinceleelezionieuropeedeveriuscirea dareunaregiacomuneatuttociò».Che cosa ci manca rispetto agli Stati Uniti?«In Europa ci sono strutture tecnico burocratiche complesse, molte regole, e un disallineamento tra politica monetaria e politica fiscale.Gli Stati Uniti hanno risposto a un’inflazione da domanda post-pandemia mettendo subito sul piatto delle imprese 700 miliardi di dollari con l’Inflation Reduction Act.In Europa, di fronte a un’inflazione innescata soprattutto dalle materie prime, non si è mosso niente».Che cosa dovrebbe fare l’Europa per ridurre questo divario?«Nel breve periodo bisogna facilitare la crescita, che è bassa ed è una garanzia di autonomia. Occorre innescare circoli virtuosi di sviluppo puntando sull’innovazione.L’investimento in tecnologie, in primis quelle connesse all’intelligenza artificiale, e una politica comune per l’acquisto delle materie prime possono aumentare la produttività e creare opportunità pertutto il sistema europeo senza impatti sociali negativi. Certo non bastano quei 7 miliardi che l’Europa pensa di investire per l’IA nelle imprese o il progetto Gaia X, se si pensa che solo OpenAI punta a raccogliere fino a 7 trilioni di dollari per rivoluzionare i modelli di business attraverso i chip e l’intelligenza artificiale».Però l’Europa è stata tra le prime a regolamentare l’IA, ha fatto bene?«Stiamo entrando nell’era digitale a velocità altissima e l’Europa ha prodotto regole abbastanza stringenti, il Presidente Biden ne ha inserite di più generali ma attente allo sviluppo, mentre la Cina ha puntato su crescita e centralizzazione. In Europa mancano purtroppo iniziative che favoriscano la creazione di campioni tecnologici europei che ci consentano di non dipendere dalle altre aree del mondo in un ambito così strategico».Draghi sta ultimando il suo studio sulla competitività europea, parla di 500 miliardi all’anno per rilanciare l’Europa. È d’accordo?«Draghi ha ragione, anche se temo che le cifre in gioco siano molto più elevate. Abbiamo bisogno di un grande piano di rilancio: la digitalizzazione è la risorsa più efficace. Nella PA l’impatto sarebbe enorme, la tecnologia è un potente motore di crescita. Poi c’è la transizione energetica, valutandone però gli impatti in modo razionale.L’Europa deve diventare autonoma dalle altre potenze e ha ancora la possibilità di avere un ruolo centrale,con la sua economia e i suoi valori. Ma deve muoversi molto in fretta».E come potrebbe essere finanziato questo grande piano?«La via maestra è agire sul bilancio europeo da finanziare anche attraverso strumenti quali gli Eurobond. È stato fatto per la prima volta con il NextGenEu e bisogna proseguire su questa strada. È importante garantire la competitività del sistema finanziario. L’Europa ha tanto risparmio privato da convogliare sugli investimenti e non può badare solo all’inflazione. Si deve crescere mettendo in connessione politica monetaria e industriale».Ma a volte i singoli paesi, come Italia e Francia, sembra che vogliano piantare delle bandierine piuttosto che ragionare in scala europea.«Bisognaevitaresgambettitrapaesi europei.Airbusèuncasodi cooperazionedisuccesso,madobbiamo crearealtricampionivalutando l’interessecomuneoltreaquellodei singoliPaesi.Microsoft,conaltrigruppi americaniedeuropeistapuntandosui SoftwareDefinedVehicles,gliamericani sannofaresistema.Spessosviluppano nuovetecnologiealivellomilitareper poitrasferirlealsettorecivile.L’Europa parteinvecedallaprotezionedel consumatore,comeèstatofattonelle telecomunicazioni,eperdedivistala competitivitàdelsistema,indebolitoda unaframmentazionetratantisoggetti cheallafinepenalizzailconsumatore stesso.La premier Meloni si è fatta promotrice di un Piano Mattei per l’Africa. È un passo nella giusta direzione?«L’idea è giusta. L’Europa ha bisogno di materie prime e di unaimmigrazione qualificata per compensare il calo demografico.Anche per questo deve gestire bene i flussi migratori. È chiaro che la collaborazione con i Paesi africani è nel reciproco interesse. Certamente la nostra premier si è conquistata una forte credibilità a livello europeo».Ma cosa succederà se alle Europee prevarranno le spinte sovraniste?«Qualsiasi spinta sovranista dovrà comunque fare i conti con la crescita economica, un singolo paese da solo non va da nessuna parte. È fondamentale informare i cittadini dei rischi che si corrono: senza un’Europa unita si va verso il declino e la dipendenza da potenze straniere».Come procede in Pirelli con i vostri soci cinesi dopo l’intervento del governo con il golden power?«Il golden power, utilizzato sulla base delle regole europee, ha di fatto ribadito lo spirito degli accordi originari tutelando la nostra tecnologia e l’indipendenza del management. Il cyber tyre e la sensoristica in generale rappresentano la nuova frontiera della Pirelli. Grazie alla raccolta di una miriade di dati si riescono a migliorare i parametri legati alla sicurezza e ridurre gli impatti ambientali dei nostri prodotti, a misurare meglio, tra l’altro, le performances, lo stato del manto stradale, trasferendo informazioni in tempo reale ai sistemi di controllo della vettura, a chi guida, a Pirelli stessa e a fornitori di servizi di varia natura del mondo automotive».