La Stampa, 22 marzo 2024
La rivoluzione si scrive sui muri
È davvero singolare (e anche un po’ scontato) che parlando di Rivoluzione si finisca sempre su Lenin, l’unico grande leader del Novecento risparmiato dalla spietata revisione della Storia, come ha scritto Hélène Carrère d’Encausse nella monumentale biografia del capo sovietico. La sua mummia risulta tuttora inamovibile dalla piazza Rossa ormai dominata da un leader controrivoluzionario come Vladimir Putin.
Due lettere autografe di Lenin chiudono la mostra-evento SI.AMO RIVOLUZIONE che si tiene nel weekend a Treviso presso la sede di Fabrica, il centro di ricerca sulla comunicazione del gruppo Benetton e la Fondazione Feltrinelli. Perché questa scelta? «È un simbolo – risponde Massimiliano Tarantino, direttore della Fondazione – l’ultima tappa della mostra che nelle varie tappe del percorso ci porta a contatto diretto con le varie rivoluzioni a ogni angolo del globo e per le varie cause. È anche una concreta testimonianza, palpabile, sono dei fogli di carta vergati a mano, con la sua calligrafia che ci permettono di riempire il mito di umanità».
Le lettere sono due, datate 29 luglio 1909 e 6 giugno 1910, sono scritte in francese e indirizzate a Camille Huysman, socialista belga, all’epoca segretario della Seconda Internazionale. Una è firmata Vl. Oulianoff (è la traslitterazione francese di Ulianov) l’altra Lénine. Comunicazioni organizzative tra dirigenti politici, parte di un loro ampio carteggio, che sono custodite nel caveau della Fondazione Feltrinelli.
Ma l’evento di domani e domenica è molto altro. Intorno alla parola feticcio Rivoluzione, c’è un fittissimo programma di incontri, eventi, performance che mescolano tutte le forme espressive, compresa la musica elettronica con Klaus e Bea1991 alla musica classica con esibizioni live di giovani musicisti su brani di Johann Sebastian Bach, Giuseppe Colombi e Bruno Maderna. Letteratura con letture di pagine di Antonio Gramsci, Elsa Morante, Bertolt Brecht, interpretate negli spazi di Fabrica dagli attori del Piccolo Teatro di Milano. E anche cinema, con una speciale raccolta di film e documentari ispirati al tema delle Rivoluzioni affidata al critico cinematografico Federico Rossin.
In programma ci sono poi anche workshop sui linguaggi del cambiamento (La Grammatica delle Rivoluzioni #ideali), con David Bidussa, storico sociale delle idee ed Elena Cadamuro, ricercatrice Osservatorio Storia e Memoria di Fondazione Feltrinelli e sull’ambiente (La Grammatica delle Rivoluzioni #ambiente), per progettare la rigenerazione del territorio con Alessandro Balducci, professore di Pianificazione e Politiche urbane del Politecnico di Milano e Paola Piscitelli, ricercatrice e documentarista urbana. Altri protagonisti delle conferenze sono Enzo Traverso, storico dell’Europa moderna e contemporanea, in dialogo con David Bidussa per Le Rivoluzioni. Un’altra storia e Stefano Mancuso, botanico e saggista per La Rivoluzione delle piante.
Stiamo vivendo un momento di intensi e drammatici cambiamenti. Siamo in un contesto rivoluzionario? «Siamo in un momento – risponde Tarantino – nel quale dobbiamo dare nuova energia alle rivoluzioni, viviamo un’epoca che rischia di portarci indietro invece di creare una discontinuità positiva e di progresso. Siamo in una faglia che rischia di anestetizzare la parte demos della democrazia e cioè il popolo offrendo soluzioni facili, stiamo vivendo un ritorno alle guerra come strumento politico, con un ruolo determinante nella trasformazione dei linguaggi per condividere e creare opinione pubblica. Siamo in un momento di enorme polarizzazione dell’economia, rimanere sulle pagine che hanno connotato le rivoluzioni degli ultimi due secoli, è per noi un esercizio non solo di memoria ma di attualizzazione delle idee che hanno fatto quelle rivoluzioni».
La mostra che fa da sfondo a tutti gli eventi, nasce dall’archivio della Fondazione Feltrinelli che conta 1,5 milioni di pezzi, 250mila volumi, 17.500 testate periodiche e 15mila tra manifesti, locandine e affiches che documentano le rivoluzioni dall’Ottocento a oggi. Fonti originali, come le due lettere di Lenin, che accendono i momenti di svolta nella storia.
Per Tarantino si tratta di «non perdere le bussola, valorizzare la rivoluzioni del passato e rendere più coraggiose le nuove generazioni che hanno vampate di energie ma subiscono l’anestesia: abbiamo bisogno di discontinuità».
Le rivoluzioni in altre parole non sono un programma che si dichiara e si realizza, ma sono stati d’animo, sono la “fiammella” dell’anticonformismo. Sono le passioni che ognuno vive e rivive a modo suo, anche modificando i dettagli dell’evento, individui, passioni, anche sogni che in un certo momento convergono su un orizzonte collettivo. Proprio quello che manca nel disordinato affollamento individuale delle nostre società contemporanee.
La rivoluzione, tuttavia, come diceva Mao, che se ne intendeva, «non è un pranzo di gala». L’anticonformismo che provoca la discontinuità rivoluzionaria, si trasforma poi rapidamente in conformismo del potere, ma questa è un’altra storia. Nella due giorni di Treviso si cercherà soprattutto di trovare la scintilla dell’emozione che suscita la voglia del cambiamento. E con la musica, perché la Rivoluzione è anche una festa