La Stampa, 22 marzo 2024
La delusione Nordio
Giorgia Meloni lo candidò addirittura al Colle. E poi lo ha voluto fortissimamente a via Arenula, al punto da spedirlo ad Arcore, durante la formazione del governo, per blandire un recalcitrante Silvio Berlusconi. A rifletterci, la colpa è anche un po’ sua: se scegli uno come Carlo Nordio – una vita passata a scrivere che inasprire le pene è inutile – delle due l’una: o stai facendo una svolta cosiddetta garantista o esponi (lui) a una figura di tolla. A conti fatti, la seconda. Voleva sfoltire i reati ma poi, da ministro, firma tutto ciò che, da non ministro, criticava. Sempre lo stesso meccanismo: c’è il caso di cronaca, via con legislazione mediatica tra le fanfare, la curva cattivista applaude, non serve a nulla ma va bene così. Lui, così elegante, così colto, obbedisce con nonchalance. Non si scompone neanche l’impeccabile nodo della cravatta.
Rapido fact checking: rave illegali, traffico di migranti (e diciamo che gli scafisti dell’orbe terraqueo non si sono spaventati del codice penale), violenza di genere, violenza contro il personale sanitario (come se il reato di lesioni non esistesse già), omicidio nautico per gli spericolati al timone, una specie di replica dell’omicidio stradale per gli spericolati al volante, maternità surrogata (che era già vietata, ma diventa reato universale), incremento delle sanzioni per i piromani, per chi imbratta i muri e anche per chi si fuma qualche spinello, che ora rischia l’arresto. Dopo la morte dell’orsa Amarena – udite, udite – rischia di più pure chi «cattura e uccide gli orsi marsicani»: solo quelli marsicani però, per non irritare i governatori del Nord coi loro orsi settentrionali. Per chi uccide un cerbiatto, invece, il codice resta lo stesso di prima.
Finora l’unico reato soppresso è l’abuso d’ufficio, perfetto per aprire un conflitto pure con l’Europa. Soppresso in parte: dopo un anno di gestazione, la legge attende ancora l’approvazione definitiva. Perché Nordio, coi suoi tempi flemmatici e il suo latino effetto camomilla, è un re Mida della lentezza: ciò che tocca si ferma o quasi. E il provvedimento in questione sta affogando nel terzo giro di audizioni, dopo quello alla Camera e il successivo al Senato. Con somma gioia dell’Anm e disperazione di pezzi di maggioranza. Con la prescrizione è andata nello stesso modo. Accordo fatto alla Camera, Nordio avoca a sé il dossier, i tempi slittano e i giudici delle Corti d’Appello rumoreggiano. Peggio è andata solo alla separazione delle carriere, pronta per essere votata la prossima settimana, prima che passasse nelle mani del guardasigilli. E forse, diciamocelo, con la complicità di Giorgia Meloni, che poi non ha tutta questa fretta di concedere una bandiera a Forza Italia, prima di incassare la sua sul premierato (alla Lega l’ha data bucata, perché tale è l’Autonomia senza i “livelli essenziali di prestazione").
Insomma, ha passato una vita a fare un po’ il Cesare Beccaria della Laguna, che cenava con Previti (poi condannato per corruzione in atti giudiziari) un po’ il Di Pietro di destra che spiccò avvisi di garanzia verso Occhetto e D’Alema. Ma gli è andata male. Ribattezzata la “braciola pulita”, perché furono passate al vaglio pure le spese per polenta e Merlot alle feste dell’Unità, l’inchiesta si sgonfiò. Occhetto e D’Alema, cui non fu mai comunicata l’archiviazione, hanno ottenuto pure un risarcimento dallo Stato per ingiusto ritardo.
Da ministro, se possibile, va peggio. Dopo aver dedicato a Silvio Berlusconi la riforma della giustizia che ancora non c’è, la sua inconcludenza pratica è pari solo dall’attitudine alla gaffe. Come quando sostenne che i «veri mafiosi» non parlano al telefono, anzi proprio «non parlano», per paura di intercettazioni e trojan, motivo per cui, oltre ad essere una «barbarie», sono da «abolire». Sfortuna volle che pochi giorni dopo venisse arrestato Matteo Messina Denaro, mafioso tutt’altro che finto, proprio grazie alle intercettazioni. Fu sfortunato anche quando annunciò che avrebbe cambiato il concorso esterno. Di tutti i giorni dell’anno scelse, per l’esternazione, il giorno prima dell’anniversario della strage di via D’Amelio. Giorgia Meloni, in partenza per la commemorazione di Borsellino a Palermo, spedì il sottosegretario Alfredo Mantovano a smentire il suo ministro, episodio unico nel suo genere.
Anziché fare autocritica, ha virato sulla solita storia della stretta alla pubblicazione degli ascolti, altra bandiera. Che sia un falso problema è scritto nell’indagine conoscitiva condotta da Giulia Bongiorno: praticamente dalla riforma Orlando in poi non c’è più un utilizzo improprio. L’ultima trovata è la “commissione d’inchiesta sul dossieraggio”, su cui si preparava ad essere acclamato alla Leopolda. Stoppata sia la commissione sia il viaggio alla Leopolda, direttamente da palazzo Chigi. Tra parentesi: Pasquale Striano (lo “spione") è indagato per abuso d’ufficio. «Non ce la faccio più» ha detto, andandosene, il suo capo di gabinetto Alberto Rizzo, lamentandosi di un ministro eterodiretto dal vicecapo Giusi Bertolozzi. Ora sarà lei a prendere il suo posto, col disappunto di Alfredo Mantovano. AAA cercasi ministro a via Arenula.