il Fatto Quotidiano, 21 marzo 2024
Sinatra, i boss, Jfk, bustarelle e flirt
Una cartelletta di pelle marrone. Dentro c’è una busta con 1 milione di dollari. Da consegnare personalmente al candidato democratico per la Casa Bianca, John Kennedy. Un frusciante endorsement di Hollywood perché JFK conquisti la Casa Bianca battendo il repubblicano Richard Nixon. Il fervido sponsor è Frank Sinatra, che muove la comunità italo-americana sollecitando Sam Giancana. Questi è non solo un “paesano” originario di Lercara Friddi come il papà di Sinatra, ma anche un superboss. Kennedy va a ritirare la mazzettona a Las Vegas, in quel Sands dove si intrecciano gli affari di Cosa Nostra e del clan degli irlandesi. C’è una serata del Rat Pack, Sinatra presenta John come il prossimo leader degli Stati Uniti. Tutto sembra filare liscio sin dopo il gala per l’insediamento a Pennsylvania Avenue, nel gennaio ‘61. Sinatra è maestro di cerimonie della festa: peccato che subito dopo i Kennedy gli voltino le spalle. Bob, neo ministro della giustizia, si mette in testa di sradicare la malapianta mafiosa, soprattutto il business del gioco d’azzardo. Giancana e Sinatra vengono chiamati a deporre, Frank tenta di riconquistare la first family invitando il presidente a un sontuoso party nella sua villa di Palm Springs, ma viene indecorosamente snobbato. Il cantante-attore prova a gettare tra le braccia degli ex amici washingtoniani una serie di fanciulle di alto profilo come la “socialite” Judith Campbell Exener (amante pure di Giancana) e l’ingestibile Marilyn Monroe. Come è andata a finire ce lo ha detto la Storia. Se proviamo a fare una passeggiata lungo il Novecento americano prima o dopo vedremo spuntare in lontananza il Borsalino di Ol’ Blue Eyes. Molti studiosi valutano con prudenza il dettaglio della cartelletta da un milione. Lo giudica “controverso” anche Luca Cerchiari, autore della nuova biografia Frank Sinatra – The Voice tra musica e cinema, edita da Feltrinelli. Un’opera che snoda lodevolmente i molti fili intrecciati di una vita irripetibile. Dove il supremo talento interpretativo del Nostro si lega a un temperamento il cui dark side costringe l’osservatore a capovolgere il giudizio. Se l’Artista era inarrivabile per tecnica, timbrica e capacità espressiva, l’Uomo era scarsamente affidabile, non solo per la frenesia da seduttore bensì pure per l’incontrollabile violenza di cui erano testimoni sodali, compagne e nemici.
Cerchiari, docente allo IULM di Milano, procede pazientemente nella documentata ricostruzione di una figura mitologica tra spettacolo, costume e politica del Ventesimo Secolo. Sinatra è il Cantante per antonomasia: negli anni giovanili fa impazzire le teenager (le “bobby-soxers” orgasmiche dei primi sold-out teatrali alla fine dei 40); matura nel periodo Columbia e soprattutto in quello Capitol – gli album “notturni” con le orchestrazioni suadenti di Nelson Riddle – per godersi infine il successo planetario con la sua etichetta Reprise. Una parabola discografica che è masterclass di stile tra ballad e swing: Frank affrontò il catalogo dei classici d’Oltreoceano mettendosi in bocca il songbook che gli preesisteva per aggiungervi i suoi standard grazie a bandleader smagati (da Tommy Dorsey a Count Basie) e produttori fedeli come Don Costa e Quincy Jones. Il paradosso sinatriano è nell’incarnazione di un aedo della più profonda solitudine, laddove non lo mollarono mai di un metro le compagnie (il Rat Pack con al centro Dean Martin e Sammy Davis jr) e non gli mancarono le partner: dopo il primo infelice matrimonio con Nancy Barbato si rivelò tumultuoso soprattutto quello con la donna della vita, Ava Gardner, fallimentare il legame con la troppo giovane Mia Farrow, sereno il vincolo della vecchiaia con Barbara, vedova di Zeppo Marx, senza tacere delle passionacce per Marilyn, Shirley MacLaine, Angie Dickinson, Juliet Prowse e Lauren Bacall dopo la morte di Bogart. Più un breve flirt con Jackie dopo Dallas. Era stato ragazzo tra i “mobster” di Hoboken, come neanche in un prequel dei Soprano; si scontrò ferocemente con Mario Puzo vedendosi raffigurato nel crooner colluso del Padrino; fu un moderato reaganiano e un libertino californiano. Finanziò l’Israele di Ben Gurion. Si “ritirò” una prima volta nel 1971, tornò a esibirsi in grande stile per la visita negli Usa di Giulio Andreotti, due anni più tardi. Era un attore da Oscar (vedi Da qui all’eternità) e un performer che non aveva bisogno di mossettine.
Surclassò Bing Crosby, e all’arrivo di Elvis dichiarò che il rock and roll fosse “la forma espressiva più brutale, brutta, degenerata e viziosa che io abbia mai, con dispiacere, potuto ascoltare”. Sopravvisse artisticamente ai Beatles. Morì il 14 maggio 1998, sussurrando qualcosa come “sto perdendo” o “non riesco”. Le sue ultime parole furono le prime, nella sua leggenda, a risultare incomprensibili.