il Fatto Quotidiano, 21 marzo 2024
Intervista a Iris Peynado
Iris Peynado, è giurata al Bif&st di Felice Laudadio. Ma il suo ultimo film è Lontano lontano di Gianni Di Gregorio nel 2019 e non è che negli anni 2000 ne abbia fatti tanti. Che succede?
Ringrazio Laudadio, mi volle in giuria anche a Taormina, un ruolo che mi fa sentire apprezzata, rappresentativa di una comunità. Per il cinema, be’, mi sarei aspettata andasse diversamente, dopo che Troisi e Benigni scelsero una donna straniera per rappresentare la guerriera europea in Non ci resta che piangere… Fecero una cosa rischiosissima, presero un viso convenzionale, e io immaginai che avrei avuto una carriera straordinaria, non solo la strega, la maga, la whatever. Avrei lavorato perché ero una brava attrice e avevo il passaporto italiano. E invece non è successo.
C’è un razzismo sistemico nel nostro Paese o un irredimibile esotismo?
C’è la mancanza di aggiornarci su cosa succede nel pianeta terra. In Francia, Germania, Inghilterra stanno facendo di tutto per integrare quelli che sono considerati concittadini per nazionalità, e l’audiovisivo ha un ruolo preminente nell’indicare la via. Viceversa, in Italia prima succedono le cose, poi si fa il film che ne prende nota. Soprattutto la televisione dovrebbe educare, aprire, far avanzare le persone. Io vivo in Italia da 45 anni, potrei essere chiunque, medico, suora, tutto, ma mai mi è stato concesso. Non è che io voglio essere italiana, per carità, io sono domenicana. Però appartengo alla cultura italiana, ho dato tutta la mia vita qua, due figlie, due mariti, non so che altro devo dare.
Ma un’evoluzione non c’è stata?
Quando sono arrivata, ero l’unica. Esotica, diciamo caraibica. Se vedevo una persona diversa per via del Corso, ci salutavamo. Oggi non più. Eppure molti registi, essendo italiani, non intendono l’evoluzione, e nemmeno se la immaginano. Ma non sono arrabbiata, non più. Non adoro le etichette, però mi definisco #afrolatina, per bisogno, perché devo comunque mettere una bandiera su quello che rappresento.
E l’autodeterminazione femminile?
Ho visto Barbie, e mi sono identificata con Ken, come persona emarginata artisticamente.
Ha esordito in State buoni se potete di Gigi Magni, incarnando il Diavolo, poi Attila flagello di Dio, con Abatantuono.
Manco capivo come parlava Diego, lui di Milano, io romana, diciamo. Mi ricordo che era scappata una tigre, c’era il caos sul set, e ancor prima che quell’Attila non lo volevo fare: fu il mio agente, Fernando Piazza, a intimarmi “se quell’attore prende 500 milioni a film, tu fai il film con lui”. Aveva ragione, oggi è un cult, anche per i giovani, che mi fermano per strada.
Nel 1984 è la volta di Non ci resta che piangere, con Troisi e Benigni.
Due mostri sacri della nostra cultura. Massimo avrei proprio fatto di tutto per sposarlo. Però la verità è che Massimo era Massimo, aveva il suo mondo e tu entravi. Troisi adorava le donne, ti faceva sentire bene, quale amica, sorella. Però in quel mondo di Massimo era molto difficile fare la donna, la compagna, credo.
E Benigni?
Roberto era già fidanzato con sua moglie, noi tre stavamo insieme tutta la settimana, ma quando lei arrivava Massimo diceva: ‘Salutiamo Roberto, che va a mangiare a un altro tavolo’. Con Nicoletta (Braschi, ndr) era così.
Nello stesso anno fa Sanremo con Pippo Baudo.
Valletta, parlante. Quando mi chiamarono, c’era a casa un amico giornalista, al mio “ci devo pensare” sbottò: “Ma tu sei pazza!”. Ero assolutamente impreparata, a Sanremo serve una presentatrice di professione, o una come la Hunziker capace di stare in qualunque situazione, però fu bello, molto. Pippo Baudo lo adoro, un padre, un mentore.
Afrodiscendente le piace come espressione?
No, ma ripeto la devo usare in questo momento storico. Visto che non sono stata annoverata quale possibile italiana. Questi capelli e questo colore, questa bocca, questo naso vengono da qualche parte, e di certo non dalla Germania, sebbene abbia del sangue tedesco nelle vene… Devo all’afrodiscendenza la mia popolarità, capito?
La politica?
Ho avuto presidenti nella mia famiglia. Se non fossi partita per l’Inghilterra con questo sogno pazzo di fare l’attrice quando avevo 18 anni, probabilmente avrei studiato Legge e sarei entrata in politica.
Orientamento?
Sono sempre stata di centrosinistra, la destra non mi appartiene, non mi appartiene a livello del mio cervello. Il mio cervello no, non lo accetta. Ho sempre votato in Italia da quando ho vent’anni, pensa al paradosso, e non in Repubblica Dominicana, ma non ho mai fatto la psicologa in un film.