Domenicale, 17 marzo 2024
Qual è la più grande opera del Novecento?
uando, nel 2004, fecero un referendum tra i critici d’arte per decidere l’opera più importante del Novecento – secolo glorioso, nonostante guerre, genocidi, e misfatti vari, in cui l’arte, per dire, è diventata di tutti e per tutti –, il vincitore risultò un oggetto meraviglioso: l’orinatoio di Duchamp (1917), seguito dalle demoiselles di Picasso e dalla Marylin di Warhol. Ci sarebbe da scrivere troppo e troppo a fondo: ma per noi duchampiani osservanti, per di più di rito scacchistico, non c’è alcun dubbio che il pezzo (di cui, tra l’altro, e a maggior gloria, non esiste “fisicamente” alcun “originale”) sia il sovvertimento della nozione d’arte che fin lì lo aveva preceduto e poi niente mai sarebbe più stato lo stesso. Non è un tiro mancino quello che Duchamp gioca all’intera storia dell’arte e l’intento ironico, che c’è, si esaurisce in fretta: resta un grumo di verità su cosa, come, e perché è arte che ancora ci sconvolge. L’ironia, si sa, è un cosa seria: questo il titolo (sottotitolo: Strategie dell’arte d’avanguardia e contemporanea, Johan & Levi, pagg. 242, € 28) di un libro eccellente di Francesco Poli. Ho letto e riletto la ghiotta introduzione che gira intorno al concetto di ironia e a come esso è stato declinato, ma sono le schede su singoli artisti o opere che travolgono. Scritte benissimo, sono ciliegie: ne vuoi sempre un’altra, e ti ingolosisci vieppiù, ché 22 esempi (dalla merda di Manzoni alle erranze di Boetti, da Magritte a Oppenheim, passando per Fontana e Saul Steinberg, sempresialodato e meno male che l’ha messo) sono ancora pochi. Ne vogliamo sapere di più, sì, vogliamo confonderci di più, vogliamo ancora entrare in questi cortocircuiti logici esistenziali ed esperienziali. Vogliamo rendere omaggio al genio di Maurizio Cattelan: «Nei miei lavori, ai vari livelli, superata la risata iniziale affiora il disturbo». Un dito medio alle idee ricevute. E anche noi.