il Giornale, 20 marzo 2024
Intervista a Vera Gemma
«Quando una è qualcosa deve seguire la natura di quello per cui è nata, è una questione di onestà intellettuale nei confronti degli altri e di te stessa anche se è un’arma a doppio taglio, perché la società attuale ti invita ad essere diversa ma poi condanna proprio quella diversità della persona che non si conforma».
Comincia così la chiacchierata con Vera Gemma, attrice di talento di una gentilezza e un’umiltà disarmanti che si definisce una condannata a pagare il prezzo di chi vuole vincere senza scorciatoie. «Se se lo mette Beyoncé il cappello da cowboy va bene a tutti, ah che grandissima artista, se me li metto io, perché me li ha regalati mio padre (il grande attore di western e non solo Giuliano Gemma, ndr) dicendo che mi avrebbero portato fortuna, sono quella stramba». Eppure questa donna stramba ha scritto due libri, ha vissuto a Parigi, ha domato le tigri in mille circhi ed è stata candidata all’Oscar come miglior film straniero con un documentario sulla sua vita, Vera, dei registi austriaci Tizza Covi e Rainer Frimmel che quando l’hanno conosciuta se ne sono innamorati al punto da volerle dedicare un film, uscito in trentacinque paesi, che ha vinto premi a Rotterdam, al festival di Les Arcs, a Vienna, e che da noi sarebbe passato quasi inosservato se l’anno scorso non fosse stato candidato agli Oscar. E non per l’Italia bensì per l’Austria. «È una cosa tipicamente italiana questa, siamo un Paese di artisti e registi capaci potenzialmente più di altri dove paradossalmente però puoi diventare una star senza saper far niente. Io ho lavorato tantissimo, ho fatto trentacinque anni di gavetta, non mi davano mai opportunità, gli unici ruoli che mi proponevano di interpretare erano la tossica, la prostituta, mai una volta ruoli da protagonista».
Non si è data per vinta. D’altronde, come può darsi per vinta una che decide di fare la spogliarellista a Los Angeles, che partecipa ad un reality faticosissimo come Pechino Express con l’amica di sempre Asia Argento e all’Isola dei famosi «perché tutti abbiamo bisogno di lavorare» e l’anno dopo vince il Premio Orizzonti alla 79esima edizione del Festival del Cinema di Venezia come miglior attrice... per aver interpretato se stessa. «Fare se stessi è la cosa più difficile del mondo, tendi a mostrarti falsata, più carina, devi fare una ricerca interiore imponente». Ora ha in cantiere un film di Abel Ferrara con Willem Defoe, e una sorta di space cowboy al femminile con il regista David Wagner. Il suo film non ce l’ha fatta ad entrare nella rosa dei cinque migliori film stranieri ma lei ci spiega senza giri di parole, come è lei, che «it’s all about the money, dipende tutto dai soldi, per sostenere una candidatura agli Oscar più soldi hai più chance hai... Noi eravamo un piccolo film indipendente, un conto è l’industria, gli Studios, lo sapevamo, va bene così».