Avvenire, 20 marzo 2024
L’industria dello sfruttamento guadagna oltre 236 miliardi
Sono i bilanci della vergogna, quelli di un’“industria” del lavoro forzato che non smette mai di crescere. Sfruttamento sessuale, rimesse sottratte, pagamenti al ribasso, “debiti” da ripagare ai trafficanti di esseri umani: il fenomeno è variegato e produce ogni anno nel mondo 236 miliardi di dollari di profitti illegali, circa 10mila dollari per ogni vittima. Dati che sono peraltro in drammatico aumento rispetto a dieci anni fa, quando il lavoro forzato rendeva 172 miliardi di profitti (64 miliardi in meno rispetto ad oggi), circa 8.269 dollari per ogni vittima. In dieci anni, insomma, l’aumento dei profitti da ogni vittima è stato di oltre il 21%.
I dati sono contenuti nel rapporto «Profitti e povertà: l’economia del lavoro forzato» pubblicato a Ginevra dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo), l’agenzia dell’Onu che si occupa di promuovere la giustizia sociale e i diritti umani internazionalmente riconosciuti, con particolare riferimento a quelli riguardanti il lavoro in tutti i suoi aspetti. Le vittime del lavoro forzato, sottolinea lo studio, sono molte di più oggi rispetto a dieci anni fa: si parla di almeno 23,7 milioni di persone costrette al lavoro forzato nell’economia privata, mentre la stima del 2014 si fermava a circa 18,7 milioni: l’aumento delle persone costrette al lavoro forzato nell’economia privata è stato dunque del 27% in appena un decennio.
Nel caso dei lavoratori in condizioni di sfruttamento, i profitti illegali sulla loro pelle rappresentano la differenza tra ciò che i datori di lavoro stanno effettivamente pagando ai lavoratori e ciò che dovrebbero pagherebbero loro in circostanze normali. In altre parole, sono i salari che dovrebbero finire nelle tasche dei lavoratori e che invece rimangono nelle mani degli sfruttatori a causa delle loro pratiche coercitive. Per quanto riguarda lo sfruttamento sessuale, i profitti illegali rappresentano tutto, tranne la piccola (o inesistente) quota di denaro che arriva alle vittime.
La maggior parte dei profitti illegali totali proviene proprio dallo sfruttamento sessuale. Sebbene quest’ultimo rappresenti solo il 27 per cento del totale delle vittime, da questo comparto arriva ben il 73% del totale dei profitti illegali derivanti dal lavoro forzato. Lo sfruttamento sessuale, insomma, continua purtroppo a rendere moltissimo, in termini assoluti si parla di 173 miliardi di dollari l’anno e di oltre 27mila dollari per vittima, in grande maggioranza donne e ragazzine. Nella maggior parte dei casi, le vittime di sfruttamento sessuale vengono pagate poco o nulla. In molti casi, ciò avviene per il presunto debito contratto con il loro trafficante a causa della tratta. Le vittime possono inoltre contrarre nuovi debiti quando passano nelle mani di altri trafficanti.
In generale, i profitti illegali totali annuali derivanti dal lavoro forzato sono più alti in Europa e Asia centrale (84 miliardi di dollari, 58 miliardi dei quali derivanti dallo sfruttamento sessuale), seguiti da Asia e Pacifico (62 miliardi di dollari), Americhe (52 miliardi di dollari), Africa (20 miliardi di dollari) e Stati arabi (18 miliardi di dollari). Quando i profitti illegali vengono espressi per ogni vittima, i profitti illegali annuali sono più alti in Europa e Asia centrale, seguiti da Stati arabi, Americhe, Africa, Asia e Pacifico. Sfruttamento sessuale a parte, l’industria è il settore in cui i profitti illegali totali e per vittima sono più elevati, arrivando a rendere 35,4 miliardi di dollari ogni anno con 4.944 dollari per vittima. Seguono i profitti totali e per vittima nei servizi (rispettivamente 20,9 miliardi di dollari e 3.407 dollari), seguiti dall’agricoltura (5,0 miliardi di dollari e 2.113 dollari) e infine dal lavoro domestico (2,6 miliardi di dollari e 1.570 dollari). Secondo l’Onu, sottopagare è una caratteristica comune del lavoro forzato e un fattore cruciale per i profitti che ne derivano. Comprendere i meccanismi del lavoro sottopagato, come molti sistemi di pagamento a cottimo nel settore manifatturiero e in agricoltura, può quindi fornire informazioni su come vengono generati i profitti derivanti dal lavoro forzato, soprattutto quando i lavoratori sono tenuti a raggiungere obiettivi di produzione irrealistici.
L’Ilo sottolinea che «sono necessari investimenti urgenti in misure di contrasto che frenino i profitti del lavoro forzato e assicurino i responsabili alla giustizia».
Attualmente, osserva ancora l’agenzia Onu, il numero di procedimenti giudiziari per il reato di lavoro forzato resta molto basso nella maggior parte delle giurisdizioni, «il che significa che i col pevoli sono in grado di trarre profitto dalle loro azioni impunemente»: va dunque rafforzata «l’architettura giuridica relativa al lavoro forzato» tramite un «allineamento con le norme giuridiche internazionali». Il lavoro forzato perpetua «cicli di povertà e sfruttamento e colpisce al cuore la dignità umana – denuncia il direttore generale dell’Ilo, Gilbert Houngbo –. La comunità internazionale deve urgentemente agire per porre fine a questa situazione».