La Stampa, 20 marzo 2024
Salute mentale, in carcere viene curato meno di un malato su cento
Tra gli ultimi a togliersi la vita dietro le sbarre è stato il rapper Jordan Jeffrey Baby. Prima di lui c’è Fakhri Marouane che si è dato fuoco nel carcere di Pescara dopo aver denunciato le violenze brutali subite dietro le sbarre di Santa Maria Capua a Vetere. E poi ancora Ibrahim Ndiagne, Rodolfo Hilic, Davide Bartoli, G.Z., F.A., C.S. e F.L. Sigle che proteggono il nome di detenuti italiani suicidi. Dall’inizio di quest’anno al 19 marzo nei nostri istituti di pena se ne contano già 26. Continuando di questo passo si arriverà a 300 e verrà stracciato il triste record del 2022 di 84 suicidi, uno ogni 5 giorni, venti volte tanto quelli che si verificano tra chi vive in libertà.Dostoevskij diceva che il grado di civiltà di una nazione si misura entrando nelle sue prigioni. E noi saremo pure la patria di Beccaria, ma le nostre carceri assomigliano sempre più a luoghi di supplizio che di pena. Perché un minimo di assistenza psichiatrica la si riesce a dare appena allo 0,38% di chi ha un disturbo mentale molto grave, come quello bipolare o la schizofrenia. Mali che a volte si portano da fuori. Ma che più spesso sopravvengono dietro le sbarre, dove si sta ammassati come animali in batteria. Gli ultimi dati indicano un tasso di sovraffollamento del 112%, che in certi penitenziari supera il 150, con picchi del 190% e oltre a Latina e al San Vittore di Milano.In queste condizioni non c’è poi da stupirsi se l’equilibrio mentale finisca per saltare. Secondo l’ultimo “Rapporto Antigone” il 9,2% dei nostri 65mila detenuti soffre di disturbi psichici molto gravi, il 12,4% delle donne che vivono dietro le sbarre. Ma il problema è molto più esteso, tanto che il 20% assume stabilizzanti dell’umore, antipsicotici e antidepressivi, mentre il 40,3% fa uso di sedativi e ipnotici. «Abbiamo detenuti con patologie pregresse che le condizioni carcerarie peggiorano e che se non monitorati possono essere a rischio suicidario», spiega il professor Massimo Clerici della Società Italiana Psichiatria e psichiatra presso la casa circondariale di Monza. «Poi ci sono i soggetti più gravi, spesso autori di omicidi o anche efferati pluriomicidi, psicopatici o serial killer. Si tratta di persone pericolose, che in Italia sono spesso collocate in isolamento e che non accedono a percorsi di cura continuativi e a terapie cognitivo-comportamentale, che potrebbero aumentare le capacità di autocontrollo».Quello che sicuramente non ha avuto Domenico Livrieri quando a ottobre ha ucciso la sua vicina di casa e che se non ci fossero state liste di attesa infinite sarebbe dovuto stare in una Rems, le residenze per i detenuti psichiatrici gravi e particolarmente pericolosi. «E come lui ce ne sono un centinaio abbandonati in strada o nelle loro case», denuncia il professor Giuseppe Nicolò, direttore del Centro di salute mentale di Roma 5, che siede al tavolo Interministeriale Salute-Giustizia per la riforma delle Rems. Un’emergenza non solo sanitaria ma anche di sicurezza pubblica. —